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Fase 2, ecco cosa non funziona nei tribunali

Perché la Giustizia non riparte? Perché i tribunali arrancano? Perché i cancellieri non possono connettersi da casa? L'approfondimento di Carlo Terzano e la denuncia di Caiazza, presidente dell'Unione Camere Penali

Lo smart working? I privati sono stati obbligati attuarlo dalle ultime norme. Del resto, senza la loro collaborazione, i cittadini in circolazione ora sarebbero milioni, soprattutto sui mezzi pubblici, che invece viaggiano ancora vuoti diminuendo così le occasioni di contagio. Il settore pubblico, però, non si conferma all’altezza, nonostante i proclami del ministro della Funzione Pubblica, Fabiana Dadone, che ancora qualche giorno fa da Sky TG24 annunciava che “le amministrazioni centrali hanno un livello molto alto, intorno all’80% di persone collocate in smart working, i dati di tutte le Regioni si attestano al 69%. È un passo importante e grande, una modalità di organizzazione del lavoro completamente diversa, è una vera sfida e va preso questo percorso anche finita questa pandemia”. Nel settore della Giustizia, la cui Fase 2 sarebbe iniziata il 12 maggio, per esempio, i cancellieri non possono connettersi da casa, come ha denunciato oggi Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere Penali, a Coffee Break, su La7 (qui la puntata con l’intervento).

PERCHÉ PER CAIAZZA LA GIUSTIZIA NON RIPARTE

Secondo Caiazza, infatti, quello predisposto dal ministero di Giustizia è persino un finto smart working: “Noi troviamo singolare lo smart working del personale di cancelleria, un finto smart working considerato che i cancellieri non possono collegarsi all’intranet della giustizia da casa”. Una situazione che di fatto paralizza l’amministrazione della giustizia più di quanto non sia già stato disciplinato: “Sono stati sospesi – continua il presidente dell’Unione Camere Penali – tutti i termini, anche del deposito dei provvedimenti, delle motivazioni delle sentenze”.

“LE CONFERME DI RICEZIONE TALVOLTA ARRIVANO DOPO I TERMINI”

Diversi avvocati, sentiti da Start, lamentano inoltre forti ritardi, che possono superare anche le due settimane, nella ricezione delle mail di conferma delle PEC a carico delle cancellerie che indicano che l’accettazione degli atti depositati per via telematica è avvenuta con successo a seguito dei controlli manuali. “Il paradosso – racconta un legale che chiede l’anonimato – è che, talvolta, la conferma che l’atto è stato correttamente depositato arriva dopo che sono già scaduti i termini entro cui occorreva presentarlo”. Altri legali raccontano esempi virtuosi, come la cancelleria del Lavoro del Tribunale di Genova che, complice anche la diminuzione del carico, evade le pratiche tempestivamente. E lo stesso Caiazza lo ha ricordato nell’intervento di stamattina in tv: “Rimbocchiamoci le maniche. Ci sono esempi virtuosi come il presidente del Tribunale di Milano, dal cuore della pandemia, ha detto di cominciare a fissare i rinvii di 15 giorni in 15 giorni perché poi vediamo se la situazione si è modificata”.

GLI AVVOCATI LAMENTANO: “OGNI DISTRETTO FA A SÉ”

Ma purtroppo le buone notizie restano confinate alla buona volontà dei singoli funzionari, perché per il resto sembra vigere il caos più totale. “Attualmente, nella mia zona – racconta a Start un altro avvocato – l’accesso al Tribunale e agli uffici del Giudice di Pace non è stato ancora regolamentato con un provvedimento dei dirigenti amministrativi. È possibile accedere contattando le cancellerie tramite e-mail oppure telefonicamente per ottenere un appuntamento”. “Addirittura le regole del tribunale sono diverse da quelle del GDP ed addirittura sembra che quelle del GDP di una città saranno diverse dal GDP della città vicina”. “Purtroppo – continua l’avvocato – ogni Tribunale si sta muovendo in modo autonomo e non c’è nemmeno una uniformità distrettuale. Di fatto – conclude – siamo praticamente fermi perché è difficoltoso accedere agli uffici giudiziari”.

200 PROTOCOLLI DIVERSI PER RIPARTIRE

Quanto raccontato a Start viene confermato dall’Organismo congressuale forense, che denuncia: “Oltre 200 protocolli per ripartire, ogni ufficio decide per sé e la Giustizia riparte nel caos”. Nel documento si legge: “In mancanza di un orientamento uniforme, di mezzi e personale, si stanno moltiplicando per di più le prese di posizione delle rappresentanze dei magistrati e del personale di cancellerie che, per il timore di contagi, osteggiano la ripresa delle attività lavorative in sede, anche per il noto stato di inadeguatezza della gran parte degli edifici in cui sono ubicati gli Uffici Giudiziari”.

LE UDIENZE IN REMOTO? RESTANO UN MIRAGGIO

“Anche lo svolgimento delle udienze in modalità telematica da remoto – lamenta sempre l’Organismo congressuale forense – per la quale l’OCF e tutta l’Avvocatura Italiana (tranne poche prese di posizione) non ha opposto alcune avversione pregiudiziale, non potrà avere corretta attuazione in mancanza di una uniforme e ragionevole disciplina che individui le attività per le quali possa essere praticata, detti le misure di garanzie per le parti, predisponga gli strumenti con cui il personale di cancelleria possa accedere ai fascicoli telematici in modalità “smart working” e doti gli uffici degli assistenti informatici che possano assicurare la tenuta dei collegamenti”.

I TRIBUNALI RIAPRIRANNO SOLO A (METÀ) SETTEMBRE?

Per questo l’OCF conclude ravvisando il timore che “di fatto e in mancanza di adeguati interventi, è ragionevole e realistico prevedere che le attività giudiziarie non riprenderanno in modo sostanziale ed effettivo in moltissime sedi, quantomeno fino all’inizio del prossimo settembre”.

IL DANNO SUBITO DAGLI AVVOCATI

Insomma, non è vero che oggi la Giustizia riparte. Di fatto i Tribunali rischiano di restare chiusi almeno fino a dopo la pausa estiva, che nel settore è di 30 giorni. Se ne riparla dunque all’inizio di settembre, sperando che in autunno il Coronavirus non replichi o saremo punto e a capo. Di fronte a uno scenario simile, sono incalcolabili i danni per lo Stato, che di fatto ha smesso di amministrare la Giustizia e per gli avvocati (che in un primo momento erano persino stati dimenticati dal Cura Italia), come denunciato dallo stesso Caiazza stamani in televisione: “Siamo liberi professionisti, viviamo del nostro lavoro”. Questo nonostante “è molto facile immaginare che nei nostri Tribunali ci siano condizioni per ricominciare nelle aule con sicurezza per tutti noi, per tutti noi, per la salute del giudice, del pubblico ministero, invece vediamo una lentezza straordinaria di questa ripresa, una disomogeneità di criteri che vengono adottati nei vari fori e spesso circolari organizzative che non sembrano recepite dagli stessi giudici”. E così, nelle more di una Giustizia incapace di ripartire, si ingrossano le file degli avvocati che fanno domanda per il bonus una tantum da 600 euro.

SPRECATA L’OCCASIONE PER RIMETTERSI IN PARI?

Oltretutto, un periodo simile, in cui la Giustizia è stata cristallizzata, avrebbe potuto consentire ai magistrati che non celebrano più nuove udienze quantomeno di redigere le sentenze pendenti e smaltire così l’enorme arretrato che, tanto il settore Civile quanto quello Penale, si trascinano dietro storicamente. Ma la tecnologia non sembra consentirlo e, quando i Tribunali riapriranno, al fardello storico si accumulerà quello dello stop imposto dal Coronavirus…

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