Una scimmia con filamenti di elettrodi morbidi impiantati nel cervello ha controllato un braccio robotico isolato e ha afferrato una fragola semplicemente usando i suoi “pensieri”. A riferirlo è lo State Council Information Office di Pechino, il principale ufficio informazioni del Consiglio di Stato del Paese.
Il risultato è stato presentato al Forum Zhongguancun 2024 tenutosi nella capitale alla fine del mese scorso e per la Cina è stata l’occasione di mostrare al mondo che, anche se sulle interfacce computer-cervello ha iniziato a lavorare in ritardo rispetto agli Stati Uniti, ora ha deciso di accelerare.
Ma se Neuralink e le altre aziende del settore affermano, almeno nelle intenzioni, di avere il nobile scopo di migliorare la vita di persone che convivono con gravi condizioni di salute, come la paralisi o la cecità, Pechino sembra essere molto più sfrontata e, nelle linee guida etiche pubblicate dal Partito comunista cinese (Pcc) a febbraio, cita tra gli obiettivi quello di “migliorare le capacità cognitive di soggetti sani”.
LA LENTA PARTENZA DELLA CINA SULLE INTERFACCE COMPUTER-CERVELLO
A febbraio, Rivista Studio osservava che, mentre Elon Musk annunciava al mondo – in modo non troppo silenzioso (com’è nel suo stile) – di aver impiantato il primo chip della sua Neuralink nel cervello di un uomo, la Cina aveva già condotto quel tipo di intervento nell’ottobre 2023. Tuttavia, la notizia era – stranamente – passata del tutto in sordina: “Non è tanto da ‘Cina di Xi Jinping’ dire sottovoce una cosa così, cioè di aver fatto un esperimento decisamente rilevante prima di un’azienda privata americana”, osserva l’articolo.
Tra l’altro, il paziente, una persona paralizzata da 14 anni, secondo le fonti cinesi, stava reagendo bene ed era in grado di bere da solo a grazie a un guanto collegato in modalità wireless all’impianto cerebrale.
La poca enfasi data dai media cinesi, e di conseguenza da quelli del resto del mondo, per Rivista Studio è dovuta al fatto che “i cinesi sanno con certezza una cosa: che su questo tipo di tecnologia sono indietro”. A dirlo senza tanti giri di parole è Qianzhan, un sito cinese di economia e informatica, sul quale si legge: “L’industria Bci [Brain computer interface] in Cina è iniziata tardi e c’è un divario tra i cinque e i dieci anni con i Paesi stranieri”.
Trattandosi di una delle nuove sfide del confronto tecnologico tra Cina e Stati Uniti, Pechino ha dunque capito che deve accelerare.
LA RIMONTA CON IL LABORATORIO DI TIANJIN
Ecco che allora il Dragone ha inserito le interfacce neurali tra le priorità della sua ricerca scientifica. Un anno fa il South China Morning Post scriveva di un laboratorio dedicato, aperto dal governo a Tianjin, in cui lavorano 60 persone. L’obiettivo dell’istituto è trasformare la ricerca in applicazioni pratiche, come già fatto con un dispositivo che si collega al cervello attraverso l’orecchio interno.
Questo, a differenza dei dispositivi di Neuralink, non richiede l’impianto di un chip ma è ugualmente capace di fornire uno “streaming di dati a banda larga” al cervello, spiegava The Independent. E Nature Communications, dove viene descritta la ricerca, aggiungeva che tale tecnologia potrebbe consentire applicazioni quali la traduzione dei pensieri in testo, il controllo di oggetti digitali con il solo pensiero o addirittura l’aumento della memoria umana.
DOVE VUOLE ARRIVARE PECHINO?
Nonostante vari Paesi stiano sviluppando interfacce computer-cervello, principalmente per scopi medici, quello che preoccupa sono le intenzioni per cui lo sta facendo la Cina. Un comunicato di gennaio scorso, diffuso dal ministero cinese dell’Industria e della tecnologia dell’informazione e riportato da Gizmodo, annunciava che Pechino mira nei prossimi anni a “fare progressi nelle tecnologie chiave e nei dispositivi principali, come la fusione cervello-computer, i chip simili al cervello e i modelli neurali di brain-computing”, a cui sarà inevitabilmente affiancata l’intelligenza artificiale generativa (IAg).
L’idea è quella di sviluppare diversi prodotti con interfaccia cerebrale di facile utilizzo da poter sfruttare, ad esempio, per la guida senza conducente, la realtà virtuale e la riabilitazione medica.
Tuttavia, le linee guida etiche elaborate da una commissione del Pcc danno indicazioni sia riguardo a Bci “terapeutiche”, ovvero progettate per aiutare persone con disabilità neurologiche, sia a Bci “aumentative”, ovvero destinate a “migliorare le capacità delle persone sane”. Il documento invita comunque alla “moderazione” nell’adozione di queste tecnologie, in particolare nel caso delle Bci aumentative, che, si legge, “potrebbero esacerbare le disuguaglianze sociali se adottate senza restrizioni”.
GLI USI NON TERAPEUTICI DELLE BCI
Non a caso, affermano le linee guida, “coloro che si impegnano nello studio sulle Bci dovrebbero garantire che la loro ricerca abbia un valore sociale, concentrandosi principalmente sulle tecnologie Bci riparative e sottolineando la necessità di soddisfare i bisogni di salute del pubblico attraverso lo sviluppo della tecnologia”.
“Gli scopi non medici – si legge -, come la modulazione dell’attenzione, la regolazione del sonno, la regolazione della memoria e gli esoscheletri per le tecnologie Bci aumentative, dovrebbero essere esplorati e sviluppati in una certa misura, a condizione che vi sia una regolamentazione rigorosa e un chiaro beneficio. Il progetto di ricerca deve essere scientificamente razionale, operativo e di valore scientifico”.
Viene però anche dichiarato che “poiché questa tecnologia è ancora nelle prime fasi di sviluppo, l’ambito di applicazione, il grado di potenziamento appropriato e gli impatti a lungo termine sull’uomo non sono ancora chiari e presentano rischi sconosciuti”.
IL FUTURO (CINESE) DELLE BCI
La Bci, nota anche come Bmi (Brain-machine interface), in quanto tecnologia di frontiera dell’interazione uomo-computer, “è stata una forza importante che ha guidato un nuovo ciclo di rivoluzione scientifica e tecnologica e di cambiamento industriale”, dichiara lo State Council Information Office di Pechino.
E secondo gli esperti che hanno partecipato al Forum Zhongguancun, la Cina sta diventando non solo un importante polo di innovazione ma anche un mercato di riferimento per la tecnologia Bmi. “La Cina è tra i Paesi con il maggior numero di progetti di ricerca scientifica sul Bmi, con una produzione di ricerca scientifica su larga scala e in rapida crescita, e le sue domande di brevetto di invenzione che coinvolgono il Bmi rappresentano più della metà del totale globale”, ha detto Gu Xiaosong, accademico dell’Accademia cinese di ingegneria.
Pechino, inoltre, ha recentemente tracciato una tabella di marcia per accelerare lo sviluppo dell’industria della Bmi: “Entro il 2026, la città raggiungerà i progressi nelle tecnologie di base della Bmi e coltiverà un certo numero di imprese leader. Entro il 2030, con un sistema tecnologico indipendente e ben sviluppato di Bmi, centinaia di piccole e medie imprese del settore saranno coltivate nella capitale, formando un cluster industriale”.
L’uso diffuso della tecnologia Bmi corrisponde infatti a un enorme mercato potenziale perché, come ricorda lo State Council Information Office, secondo McKinsey & Company, solo nel settore medico il mercato globale potenziale dell’industria Bmi dovrebbe raggiungere i 40 miliardi di dollari tra il 2030 e il 2040, ma il suo potenziale si estende a tantissimi settori. Pechino al momento punterà su medicina, sanità, sicurezza industriale, istruzione, sport e smart life.