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L’intelligenza artificiale condannerà a morte il giornalismo, i giornalisti o nessuno dei due?

L’editore tedesco di Bild e Die Welt, nonché proprietario di Politico, ha chiuso l'agenzia di stampa Upday per sostituire i giornalisti con l’intelligenza artificiale e il New York Times ha assunto un direttore editoriale (vero) per le iniziative sull’IA. Qual è il futuro del giornalismo?

 

“Non ci saranno più alcune funzioni come esistono oggi”, profetizzava a giugno il colosso dei media tedeschi Axel Springer. Detto fatto. A inizio dicembre ha infatti ufficialmente dato il benservito ai giornalisti dell’agenzia di stampa Upday, i cui posti di lavoro – 80 di 150 – saranno eliminati durante il processo di trasformazione che prevede però una nuova assunzione: quella dell’intelligenza artificiale (IA).

A distanza di qualche giorno il New York Times ha annunciato l’arrivo di un direttore editoriale – questa volta in carne e ossa – per le iniziative sull’IA. Si tratta del cofondatore del sito Quartz, Zach Seward, che insieme alla direzione della redazione stabilirà delle linee guida su “come usare e come non usare” questa nuova tecnologia e metterà su un team per sperimentare gli strumenti di IA, oltre che per progettare programmi di formazione per i giornalisti.

LA TRASFORMAZIONE DEL GIORNALISMO CON L’IA

Il giornale “sfortunatamente si separerà dai colleghi che hanno compiti che nel mondo digitale sono eseguiti dall’intelligenza artificiale e/o dai processi automatizzati”, aveva dichiarato nei mesi scorsi Axel Springer, gruppo editoriale di cui fanno parte il tabloid Bild e il quotidiano Welt, oltre che i siti Business Insider al 97% (il restante 3% è nelle mani del miliardario Jeff Bezos) e Politico – rilevati rispettivamente per 343 milioni di dollari e oltre un miliardo di dollari.

Axel Springer, tra i ruoli le cui teste salteranno per prime, citava esplicitamente caporedattori, impaginatori, correttori di bozze, segretariato ed editor fotografici. Misure simili potrebbero essere estese anche a Welt.

Quella non era la prima volta che Axel Springer parlava di quanto il mondo del giornalismo sarebbe stato profondamente cambiato dall’avvento dell’intelligenza artificiale che, a detta del suo Ceo, Mathias Doepfner, “ha il potenziale per migliorare il giornalismo indipendente – o semplicemente sostituirlo”.

COME SI STA INSIDIANDO L’IA NEI GIORNALI

L’Economist ha infatti sottolineato come l’intelligenza artificiale sia presente nei giornali di tutto il mondo già da diverso tempo. L’Associated Press (AP), per esempio, ha iniziato a pubblicare rapporti automatizzati sugli utili delle aziende nel 2014, utilizza l’IA per il “rilevamento di eventi”, analizzando i social media alla ricerca di notizie, e a luglio ha stretto un accordo con OpenAI per fornirgli parte del suo archivio di testi. Il New York Times sfrutta l’apprendimento automatico per decidere quanti articoli gratuiti mostrare ai lettori prima che raggiungano il paywall e la Bayerischer Rundfunk, un’emittente pubblica tedesca, modera i commenti online con l’aiuto dell’IA.

Ma c’è chi è già andato oltre. Come l’editore statunitense News Corp (proprietario del Wall Street Journal), che starebbe utilizzando l’intelligenza artificiale per produrre 3.000 notizie alla settimana nella sua versione australiana. E, secondo il Guardian, non è la sola.

L’INIZIO DELL’IA È LA SUA STESSA FINE?

Tuttavia, stando ad alcune ricerche citate dal quotidiano britannico, più internet viene invaso da notizie generate dall’IA più è probabile che si realizzi l’harakiri della macchina. Infatti, “a quanto pare, la ricerca suggerisce che i modelli linguistici di grandi dimensioni, come quello che alimenta ChatGPT, collassano rapidamente quando i dati su cui vengono addestrati sono creati da altre IA invece che da materiale originale proveniente dagli esseri umani”.

Dunque, il fatto che i giornali stiano utilizzando l’intelligenza artificiale per generare una marea di contenuti potrebbe velocizzarne la sua stessa distruzione.

Altre ricerche, sempre riportate dal Guardian, hanno invece rilevato che “senza dati freschi si crea un ciclo autofagico, destinato a un progressivo declino della qualità dei contenuti”. Come ha detto un ricercatore: “Stiamo per riempire Internet di blah”.

PERCHÉ L’IA NON PUÒ SOSTITUIRE I GIORNALISTI…

Anche David Caswell di Bbc News, secondo cui l’intelligenza artificiale “cambierà il giornalismo nei prossimi tre anni più di quanto sia cambiato negli ultimi 30 anni”, prevede che la comparsa della tecnologia possa mettere in crisi “l’unità fondamentale del giornalismo”, ovvero l’articolo, che invece di essere unico e originale potrebbe diventare “una sorta di ‘zuppa’ di linguaggio che viene vissuta in modo diverso da persone diverse”.

Non dimentichiamo i recenti fallimenti e la bancarotta di BuzzFeed e Vice. Come ha recentemente dichiarato, in occasione del Festival internazionale del giornalismo a Perugia, Gina Chua, direttrice esecutiva di Semafor, “non siamo qui per salvare i giornalisti, ma il giornalismo”.

…MA FORSE LO FARÀ

È meno ottimista riguardo al futuro dei giornalisti Khaled Diab, giornalista e scrittore pluripremiato, il quale ritiene che l’IA non avrà alcun impatto su giornalisti ed editorialisti di punta dei maggiori giornali, ma sarà ben diverso per quelli più giovani o meno famosi, che nella migliore delle ipotesi – se non verranno licenziati – si ritroveranno in condizioni (ancora) più precarie e con salari (ancora) inferiori, magari nel frullatore della gig economy (il modello economico basato sul lavoro a chiamata) in cui dovranno lavorare come macchine per poter competere con queste.

A sostegno della sua visione pessimistica afferma che tale tendenza è già in corso dall’inizio della digitalizzazione dei media. Infatti, secondo l’Ufficio Statistico degli Stati Uniti, se nel 1990 i giornali americani impiegavano quasi mezzo milione di persone (458.000), nel 2016 la cifra si è attestata a 183.000, con un calo di oltre il 60%. Il volume di lavoro che ogni giornalista deve generare, invece, è aumentato in modo esponenziale.

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