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Perché Intel, Nvidia e Qualcomm chiedono a Biden meno durezza con la Cina

Alcune delle più importanti aziende americane di microchip, come Intel, Qualcomm e Nvidia, chiedono a Biden una pausa dalle restrizioni all'export in Cina, un mercato importantissimo. Ma la Casa Bianca non sembra volerle accontentare. Tutti i dettagli.

I dirigenti di alcune delle principali società americane di microchip si sono riuniti nei giorni scorsi con i funzionari dell’amministrazione di Joe Biden per discutere della politica della Casa Bianca nei confronti della Cina. Nello specifico, l’industria dei semiconduttori vorrebbe una pausa dalle restrizioni (piuttosto stringenti) all’esportazione di tecnologie avanzate per i chip in Cina, un vasto e dunque importante mercato di vendita.

A incontrarsi per discutere sono stati, da un lato, gli amministratori delegati di Intel, Qualcomm e NVIDIA; dall’altro lato la segretaria del Commercio Gina Raimondo, il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan e la direttrice del Consiglio economico nazionale Lael Brainard.

IL PESO DELLA CINA NEL MERCATO DEI MICROCHIP

L’amministrazione Biden sta pensando di introdurre nuove e più estese restrizioni all’esportazione in Cina di macchinari avanzati per la produzione di chip, con l’obiettivo di frenare lo sviluppo industriale e militare del paese. L’industria americana (e internazionale) dei semiconduttori non è contenta: l’anno scorso, stando ai dati della Semiconductor Industry Association, quello cinese è stato il mercato più grande per i semiconduttori, con acquisti dal valore di 180 miliardi di dollari su un totale di 555 miliardi. Intel, NVIDIA e Qualcomm, in sostanza, non vogliono vedersi chiuso l’accesso a un mercato così redditizio.

– Leggi anche: Chip, perché i computer e la Cina oscurano i conti di Micron

Nel corso di una recente conferenza stampa, il portavoce del dipartimento di Stato, Matthew Miller, facendo riferimento al viaggio in Cina di fine giugno di Antony Blinken, ha detto che il segretario ha cercato “di condividere il suo punto di vista sul settore [dei microchip, ndr] e sulle questioni relative alla catena di approvvigionamento” e “di sentire direttamente da queste aziende come vedono le questioni relative alla filiera e come vedono gli affari in Cina”.

IL CHIPS ACT

Oltre ai controlli sulle esportazioni, le discussioni tra gli industriali e i funzionari dell’amministrazione Biden hanno riguardato anche il CHIPS Act, il piano di stimolo alla ricerca e alla produzione di semiconduttori negli Stati Uniti. La sezione del CHIPS Act dedicata alla manifattura, contenente 39 miliardi in sussidi, è supervisionata dalla segretaria Raimondo.

BIDEN NON CEDERÀ AGLI INDUSTRIALI?

Questo lunedì la Semiconductor Industry Association ha chiesto all’amministrazione Biden di “astenersi da ulteriori restrizioni” sulle vendite di microchip alla Cina e di consentire “all’industria di continuare ad avere accesso al mercato cinese, il più grande mercato commerciale al mondo per i semiconduttori di base”. Stando a Reuters, però, il governo americano non sembra avere intenzione di accontentare gli industriali e dunque procederà con nuove restrizioni all’esportazione dei chip più avanzati, ad esempio quelli per l’intelligenza artificiale, motivandole con la sicurezza nazionale (l’intelligenza artificiale può essere utilizzata anche in ambito militare, infatti).

Un portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale ha specificato a Reuters che “le nostre azioni sono state studiate attentamente per essere focalizzate sulle tecnologie che hanno implicazioni per la sicurezza nazionale, e per garantire che le tecnologie degli Stati Uniti e degli alleati non vengano utilizzate per minare la nostra sicurezza nazionale”, ha dichiarato un portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca.

GLI INTERESSI DI NVIDIA, QUALCOMM E INTEL IN CINA

Qualcomm, NVIDIA e Intel hanno tutte grossi interessi in Cina. Qualcomm, ad esempio, è l’unica azienda ad aver ottenuto dalle autorità americana una licenza di vendita di chip per gli smartphone a Huawei. L’amministratore delegato di Intel, Pat Gelsinger, è andato in Cina la settimana scorsa ad annunciare dei semiconduttori per l’intelligenza artificiale, mentre NVIDIA già li vende.

E APPLE?

Molto interessata al mercato cinese, ma non direttamente legata alla produzione di semiconduttori, è Apple. Lo scorso marzo l’amministratore delegato Tim Cook ha partecipato al China Development Forum (la conferenza annuale organizzata dal governo cinese per promuovere i contatti tra la comunità imprenditoriale nazionale e quella straniera) e nel corso dell’evento parlò di un rapporto “simbiotico” tra Apple e la Cina. Annunciò poi che la società avrebbe portato a 100 milioni di yuan (15 milioni di dollari) la spesa per un programma educativo nelle campagne cinesi e – stando ai resoconti dei media locali – spese delle parole di lode per il progresso tecnologico della Repubblica popolare: “l’innovazione si sta sviluppando molto velocemente in Cina, e penso che accelererà ancora”, disse.

Tim Cook è stato l’artefice dell’espansione di Apple in Cina: è iniziata una decina di anni fa, e ora il paese vale all’incirca il 20 per cento delle vendite dell’azienda. Dal 2015 in poi, grazie soprattutto all’iPhone, Apple ha registrato in Cina ricavi per oltre 40 miliardi all’anno; nell’ultimo anno fiscale ha quasi raggiunto i 75 miliardi di dollari di vendite nel paese.

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