La loro diffusione è stata tale che basta pronunciare il marchio “Roomba”, perché alla gente venga subito in mente il prodotto: i robottini aspirapolvere che trotterellano nei salotti come solerti maggiordomi.
Succede a poche aziende di riuscire a imporsi a tal punto nell’immaginario collettivo (Nutella per la crema di nocciole, Sottilette per il formaggio da toast…) e questo la dice lunga sul successo che l’azienda iRobot ha avuto. Un successo ormai sbiadito, dato che sta procedendo con licenziamenti a tutto spiano. Ma andiamo con ordine.
L’INTERESSE DI AMAZON E L’OFFERTA MILIARDARIA
Per capire cos’è successo ai robottini di iRobot bisogna tornare all’agosto 2022 quando il colosso dell’e-commerce fondato da Jeff Bezos – che già possiede Alexa e tutta una lunga serie di dispositivi per la domotica – prova a fare il salto nel mondo dei dispositivi automatici per le pulizie. E lo fa puntando al più diffuso su piazza: Roomba.
LA CORSA DEI ROBOTTINI ROOMBA
L’accordo aveva originariamente valutato la società produttrice di Roomba a 1,7 miliardi di dollari ed era provvidenziale per iRobot, che iniziava ad avvertire l’alito (ma sarebbe meglio dire il soffio aspiratutto) dei robottini cinesi sul collo, ma una serie di esami normativi e dubbi giuridici aveva inciso sul prezzo di acquisto, abbassandolo notevolmente.
IL COMMENTO AMAREGGIATO DI AMAZON
Passa oltre un anno e mezzo di incertezza e alla fine Amazon è costretta ad annunciare la propria rinuncia all’operazione di acquisto da 1,4 miliardi di dollari della scuderia di aspirapolvere Roomba. Dure e amare le parole giunte in quell’occasione dal colosso dell’e-commerce: “Ostacoli normativi indebiti e sproporzionati – aveva sbottato il vicepresidente e consigliere generale di Amazon, David Zapolsky – scoraggiano gli imprenditori, che dovrebbero essere in grado di vedere l’acquisizione come una strada verso il successo, e questo danneggia sia i consumatori che la concorrenza, esattamente le cose che i regolatori dicono di cercare di proteggere”.
L’OSTACOLO UE CHE HA INCEPPATO L’ASPIRAZIONE NEI ROOMBA…
Secondo l’Antitrust comunitario Amazon avrebbe teoricamente avuto “la capacità e l’incentivo di precludere i rivali di iRobot mettendo in atto diverse strategie volte a impedire ai rivali di vendere Rvc sul mercato online di Amazon e/o a ridurre il loro accesso a tale mercato”.
I dubbi di Bruxelles si erano coagulati attorno alla possibilità che il colosso statunitense avrebbe potuto “essere in grado di escludere i rivali di iRobot perché il mercato online di Amazon è un canale particolarmente importante per la vendita di Rvc in Francia, Germania, Italia e Spagna”.
Insomma, per la Ue Amazon avrebbe potuto “essere incentivata a precludere il mercato ai rivali perché potrebbe essere economicamente vantaggioso farlo”. Un discorso logico almeno su carta, ma occorre considerare pure che Amazon vende già diversi dispositivi propri sul proprio store online eppure non si sono scontrati coi medesimi rilievi dalla Ue.
PER ROOMBA L’INIZIO DELLA FINE?
Questioni giuridiche a parte, per iRobot e i suoi Roomba la mancata acquisizione è stata l’inizio della crisi. Oltre alle frettolose dimissioni dell’ex Ceo Colin Angle (sostituito dall’attuale amministratore delegato, Gary Cohen), mentre l’azienda a stelle e strisce comunicava agli investitori che l’affare era sfumato annunciava pure un significativo piano di ristrutturazione volto alla riduzione dei costi con tagli che hanno riguardato il 31% della propria forza lavoro, ovvero 350 unità. Ed era solo gennaio 2024.
Nelle ultime ore, l’azienda americana avrebbe messo alla porta un ulteriore 16% del suo personale – come si evince dalla documentazione presentata alla Sec, l’ente che regola le aziende quotate a Wall Street.
Ciò vuol dire che la dieta che si è auto imposta ha portato ormai al dimezzamento circa dei dipendenti. Dalla fine del 2023 ad oggi, il valore delle azioni di iRobot è crollato a picco: al 29 dicembre, venivano scambiate a quasi 35 dollari contro i 9,35 dell’ultimo periodo.
TUTTA COLPA DI BRUXELLES?
Impossibile dire come sarebbero andate le cose se iRobot, anziché incamerare la penale di 94 milioni di dollari che Amazon ha dovuto versare con la mancata fusione, fosse diventata parte del gigante dello shopping online.
Infatti, oggigiorno basta fare una rapida ricerca sul Web per comprendere quanto sia agguerrita la concorrenza cinese, capace di offrire molti più prodotti a prezzi inferiori. Si può invece affermare, con una buona dose di sicumera, che se iRobot aveva ancora una possibilità di rafforzarsi, la Ue l’ha aspirata via.