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Golden Power Hauwei

Golden Power, Draghi azzoppa Huawei nel 5G

Draghi ha di nuovo utilizzato la golden power riguardo l'aggiudicazione dei contratti per la rete 5G, sbarrando la strada a Huawei nell’ambito degli accordi con Tim e non solo con Tim

Il governo Draghi mette i paletti a Huawei con la golden power per Tim e Vodafone.

Il Consiglio dei Ministri che si è riunito mercoledì 28 settembre 2022 sotto la presidenza del Presidente Mario Draghi, ha deliberato infatti l’esercizio dei poteri speciali, sotto forma di prescrizioni, ai sensi dell’articolo 1-bis del decreto-legge n. 21 del 2012, in relazione all’approvazione del Piano Annuale 5G per l’anno 2022, presentato dalla società Tim sia per quello presentato da Vodafone.

La cosiddetta “Golden Power” attribuisce poteri speciali alle autorità per tutelare le aziende italiane strategiche. Come scrive il Sole 24 Ore — che ha visionato i provvedimenti approvati — l’obiettivo è di determinare “una progressiva uscita di scena del fornitore cinese Huawei, in considerazione di potenziali rischi per la cybersicurezza”.

Il gruppo cinese è il più grande fornitore al mondo di apparecchiature per reti di telecomunicazioni. Ma negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno fatto pressioni sull’Italia e su altri Paesi europei per evitare l’uso di apparecchiature Huawei nelle loro reti di telecomunicazioni di nuova generazione e per limitare il ricorso agli impianti di un secondo fornitore cinese (Zte), sostenendo che le due aziende rappresentano un rischio per la sicurezza. Se Huawei e Zte negano fermamente le accuse, l’Italia ha comunque adottato una posizione più dura nei confronti di Huawei.

Tutti i dettagli.

COSA PREVEDE IL PIANO ANNUALE DI TIM

Secondo il Sole 24 Ore, “Il piano annuale di Tim prevede, per la parte Core della rete, cioè il “cervello” dell’infrastruttura che connette le parti di accesso, l’utilizzo al 100% di apparati della società svedese Ericsson, mentre per l’implementazione di reti private dedicate c’è in campo l’italiana Athonet. Per quanto riguarda invece la sezione di accesso della rete (Ran radio access network), allo stato attuale il parco fornitori vede Ericsson al 53%, la finlandese Nokia al 27% e Huawei al 20%”.

AVVIATA DISMISSIONE DEGLI APPARATI HUAWEI

Inoltre, ricorda il quotidiano confindustriale, il gruppo tlc guidato da Pietro Labriola “ha già avviato un processo di dismissione degli apparati Huawei che vedrà salire, si assicura nel piano annuale, Ericsson al 70% e Nokia al 30%. Di qui l’approvazione da parte del gruppo di lavoro di Palazzo Chigi sul golden power, che ha ritenuto soddisfacente il programma di diversificazione dei fornitori a favore di operatori Ue e Usa”.

GLI APPARATI PREVISTI DA VODAFONE

Diversa la situazione per Vodafone.

Il 20 maggio 2021 il Consiglio dei ministri aveva autorizzato infatti la fornitura in favore di Vodafone per la rete Ran da parte di Huawei. Anche in quell’occasione, però, aveva dettato una serie di prescrizioni. Huawei, ad esempio, non potrà intervenire da remoto per risolvere problemi tecnici della rete.

Adesso, il nuovo provvedimento del Cdm prevede — segnala sempre il Sole 24 Ore — “per la parte Core della rete, allo stato attuale Ericsson e la statunitense Juniper sono entrambe al 40% circa mentre Huawei e Nokia sono al 10% ciascuna. Nel procedimento governativo si fa presente che la società ha dichiarato che lo sviluppo dell’infrastruttura, oltre l’orizzonte del piano annuale, prevede Juniper al 41%, Nokia al 45% e poco meno del 15% che resta da assegnare a fornitori ancora da individuare e quindi da inserire di fatto nel prossimo piano annuale”.

Per quanto riguarda la rete Ran, “Huawei e Nokia si dividono praticamente a metà il numero di apparati (Centro-Sud nel primo caso e Nord nel secondo)” sottolinea il quotidiano confindustriale. Ma il provvedimento stabilisce la condizione che “l’operatore realizzi un drastico riequilibrio del peso di fornitori extra-Ue a vantaggio di quelli europei nella componente radio della rete”. Inoltre, il diktat del governo non comporta “solo un programma dettagliato di diversificazione dei futuri contratti” evidenzia il quotidiano, “ma anche l’obbligo di sostituire gradualmente gli apparati cinesi già installati con quelli di società Ue una volta che giungono al termine del ciclo di vita utile, che secondo i tecnici dell’esecutivo non può comunque essere superiore a sei anni”.

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