In questi giorni si è tenuto il Council dell’Esa largamente focalizzato sul problema, finalmente risolto, dei rapporti tra la Commissione europea e l’Agenzia da tempo non particolarmente buoni.
A latere dell’argomento principale si è concretizzata anche un’operazione del direttore generale Joseph Aschbacher che da una parte ha fatto uscire l’Italia dall’imbarazzo e dall’altra ha risolto suoi potenziali problemi nei confronti dei vari paesi che hanno sostenuto la sua vittoria inizialmente data piuttosto come non molto probabile vista la caratura politica degli altri due candidati in lizza.
Andiamo con ordine: da pochi giorni è passata la scadenza per la presentazione di domande per l’assegnazione del direttorato del Centro Esrin delle Osservazioni della Terra a Frascati.
Nonostante la storica e logica prassi dell’Esa per cui non viene di norma scelto un candidato del Paese che ospita il Centro, implacabile come una cambiale in scadenza si era palesata la candidatura di un italiano notoriamente “candidato a tutto”, Roberto Battiston, già presidente dell’Asi. La stessa persona che nel corso degli ultimi tre anni per due volte aveva partecipato, perdendo, alla selezione come presidente del CNR e, per di più, si era anche presentato alla selezione per il direttore generale dell’Esa non essendo valutato dal Comitato di valutazione internazionale nemmeno per arrivare alla short list finale dalle quale è poi uscito vincente l’attuale esponente austriaco Joseph Aschbacher.
La situazione si era subito presentata piuttosto imbarazzante perché sia le competenze tecniche specifiche riguardanti le Osservazioni della Terra, sia la capacità manageriale emersa chiaramente negli anni di presidenza dell’Asi indicavano che il candidato non aveva nessuna possibilità concreta di poter essere considerato tra i potenziali selezionandi. Un’ennesima rischiosa brutta figura per l’Italia come già verificatosi in questo ultimo periodo a causa della scarsa competenza e ingenuità mostrate da chi avrebbe dovuto fare attenzione nelle scelte delle candidature internazionali del settore.
A completare il quadro va tenuto anche conto della grande agitazione, in questi ultimi mesi, del sottosegretario delegato allo Spazio, Bruno Tabacci, nei confronti del direttore Aschbacher, incontrato a più riprese, invitato a svariati eventi senza grande contenuto reale ma molto pubblicizzati sui media e conclusosi con la nomina presidenziale, e targa connessa per contratto, di Grande Ufficiale al merito della Repubblica.
Il tutto un po’ oscurato da una prima figuraccia con immediato ritiro della targa col nome sbagliato, tema recentemente apparentemente molto di moda anche nel Comune di Roma.
Analoga agitazione si è evidenziata da parte del presidente dell’Asi Giorgio Saccoccia, garbato cavalier servente del direttore generale dell’Esa, suo effettivo datore di lavoro, con la evidente speranza che si ricordi di lui quando ritornerà in Olanda visto che un suo rinnovo in Asi non sembra essere argomento di discussione negli ambienti che contano.
Ed ecco il colpo di genio di Aschbacher: come già avvenuto in passato (si pensi al Working Group “ESA 2020”, per esempio) per la primavera del 2022 l’Agenzia vuole definire una politica spaziale di ampio respiro legata ai potenziali sviluppi del settore. È stato quindi costituito un gruppo di 10 saggi, tra i quali l’ex pluri-direttore generale francese Jean Jacques Dordain, che si riuniranno per non più di tre o quattro sedute per redigere un documento da presentare al Council che lo valuterà.
Per l’Italia il direttore generale ha proposto il “candidato a tutto” Battiston. Questa scelta presenta una serie evidente di vantaggi: automaticamente il prescelto non può più essere considerato tra i candidati al direttorato di Esrin (in questo modo gli viene evitata l’ennesima certa bocciatura offrendo una collocazione di sicuro interesse mediatico pur priva di alcun potere reale); l’Italia viene salvata da un’ennesima imbarazzante pessima figura visto che continua a dimostrare di non saper scegliere i candidati per posizioni apicali e, soprattutto, di non aver alcun controllo sulle velleità dei singoli al riguardo di posti di questa delicatezza contrariamente alla grande attenzione dei nostri competitor europei.
Ne esce persino bene il sottosegretario Tabacci che tanto si era speso per la candidatura anche se, ad onore del vero, non è chiaro se lo abbia fatto ingenuamente perché troppo nuovo del settore, privo delle necessarie competenze specifiche e della conoscenza storica dei giochi in atto o perché condizionato da pressioni politiche regolarmente palesatesi in ogni competizione del candidato a tutto.
Tutto è bene quel che finisce bene e, forse, finalmente sarà possibile mettere in piedi anche una politica delle candidature che sia veramente condivisa tra i vari attori e tenga nel debito conto la competenza e il merito vero e non quelle raccontate di alcuni personaggi.