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Cina

La Cina blocca i chip di Intel e Amd. Ma saprà farne a meno?

La Cina ha ordinato la rimozione dei processori di Intel e Amd dai computer e dai server governativi: una decisione pensata per accelerare il distacco dalla tecnologia straniera. La mossa si ripercuoterà sui conti delle società americane, ma anche Pechino farà difficoltà. Tutti i dettagli.

Per accelerare il distacco dalla tecnologia straniera e stimolare lo sviluppo dell’industria nazionale, la Cina ha emanato nuove regole per la rimozione dei microprocessori di Intel e AMD, due importanti società statunitensi, dai computer e dai server governativi. Le linee guida non si limitano all’hardware, ma puntano anche alla più difficile sostituzione dei software esteri – ad esempio il sistema operativo Windows, sviluppato sempre da un’azienda americana, Microsoft – con alternative domestiche.

Il Financial Times ha descritto queste nuove regole come “il passo più significativo compiuto dalla Cina per creare sostituti nazionali per la tecnologia straniera”, in particolare quella proveniente dagli Stati Uniti. Le tensioni tecnologiche e politiche tra Pechino e Washington sono fortissime, e infatti la Casa Bianca ha già inasprito i controlli alle esportazioni sul mercato cinese di semiconduttori avanzati e macchinari per la loro produzione (inclusi i microchip per l’intelligenza artificiale di AMD).

COSA DICONO LE NUOVE REGOLE ANTI-TECNOLOGIA STRANIERA

Le nuove regole cinesi per l’eliminazione dei processori statunitensi dai computer e dai server governativi erano state annunciate lo scorso 26 dicembre dai ministeri delle Finanze e dell’Industria, e hanno iniziato a venire applicate da quest’anno.

Le linee guida obbligano le agenzie governative e gli organi del Partito comunista di livello superiore a quello cittadino a rispettare una serie di criteri di sicurezza e affidabilità al momento dell’acquisto di processori e sistemi operativi. Gli unici hardware software considerati affidabili da Pechino sono quelli prodotti da aziende cinesi, come Huawei e Phytium (entrambe presenti nella “lista nera” commerciale degli Stati Uniti).

Le aziende cinesi di processori non sono tuttavia indipendenti dalla tecnologia straniera perché, dal lato hardware, utilizzano una serie di architetture Intel e ARM, mentre dal lato software si appoggiano a Linux, un sistema operativo open-source.

LA CINA VUOLE L’AUTARCHIA TECNOLOGICA

Le regole sui processori rientrano in una più ampia strategia nazionale per l’autarchia tecnologica nel settore statale, negli ambienti governativi e nel comparto militare nota in gergo come xinchuang. Un funzionario cinese che si occupa della sostituzione dei sistemi IT ha detto al Financial Times che le nuove linee guida “sono le prime istruzioni nazionali, dettagliate e chiare per la promozione dello xinchuang“.

In parallelo agli enti pubblici, le autorità cinesi hanno ordinato alle società statali di ultimare la sostituzione della tecnologia straniera con quella domestica entro il 2027.

L’IMPATTO SU INTEL, AMD E MICROSOFT

Il distacco della Cina dalla tecnologia straniera – e statunitense, in particolare – avrà un impatto economico rilevante su Intel e AMD, le due aziende dominanti nel settore dei processori per computer. Nel 2023 proprio quello cinese è stato il mercato più grande per Intel, rappresentando il 27 per cento delle vendite totali; è stato rilevantissimo anche per AMD, con una quota del 15 per cento sulle vendite complessive. Microsoft non diffonde dati precisi sulle sue vendite in Cina, ma l’anno scorso il presidente Brad Smith dichiarò al Congresso americano che la Cina rappresentava l’1,5 per cento delle entrate della società.

Come scrive il Financial Times, è altamente improbabile che Intel e AMD possano entrare nella lista dei fornitori considerati affidabili dalle autorità cinesi: per essere nell’elenco, infatti, dovrebbero consegnare l’intera documentazione di ricerca e sviluppo e il codice dei loro prodotti; inoltre, le autorità cinesi vogliono che la progettazione, lo sviluppo e la produzione di questi dispositivi vengano ultimate all’interno della Cina.

Ma l’autarchia tecnologica sarà difficile anche per la Cina, considerato il ritardo rispetto agli americani. Secondo la società finanziaria cinese Zheshang Securities, il paese dovrà investire 91 miliardi di dollari tra il 2023 e il 2027 per sostituire l’infrastruttura IT nel governo, negli enti di partito e nei settori principali.

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