skip to Main Content

Semiconduttori

Microchip, ecco come la Cina prova a reagire ai blocchi Usa

Per reagire alle restrizioni americane, la Cina ha messo a punto un piano di incentivi all'industria nazionale dei microchip da 143 miliardi in cinque anni. Pechino punta all'autosufficienza tecnologica, ma le sue aziende partono svantaggiate. Tutti i dettagli.

La Cina sta lavorando a un pacchetto di sostegno per la propria industria dei semiconduttori da 143 miliardi di dollari. Ha lo scopo di aiutare il settore a raggiungere l’autosufficienza tecnologica in tutte le fasi della filiera, dopo i controlli alle esportazioni emessi da Stati Uniti, Giappone e Paesi Bassi che impediscono alle aziende cinesi di accedere ai macchinari per la produzione di microchip avanzati.

NUMERI E OBIETTIVI DELLA CINA SUI MICROCHIP

Il piano di incentivi, rivelato da Reuters, è uno dei più grandi mai emessi da Pechino e verrà distribuito nell’arco di cinque anni, principalmente sotto forma di sussidi e crediti d’imposta per la ricerca e la manifattura di semiconduttori. Senza microchip all’avanguardia il paese non può sviluppare l’intelligenza artificiale, il supercomputing e altre tecnologie innovative, e di conseguenza non potrà nemmeno realizzare le sue ambizioni di potenza economica e politica.

Il piano potrebbe venire implementato forse già nel primo trimestre del 2023. Stando alle fonti dell’agenzia, la maggior parte degli aiuti finanziari verrà utilizzato per sussidiare – fino al 20 per cento del costo – l’acquisto di macchinari domestici e impianti di fabbricazione di semiconduttori da parte delle aziende cinesi.

COSA FANNO GLI STATI UNITI

Anche gli Stati Uniti hanno messo a punto un pacchetto di incentivi alla manifattura nazionale di microchip: ad agosto il presidente Joe Biden ha firmato una legge – il CHIPS Act – che stanzia 52,7 miliardi di dollari in sovvenzione per la ricerca e la produzione di semiconduttori sul territorio americano, oltre a crediti d’imposta da circa 24 miliardi per le fabbriche di chip.

Rispetto alla Cina, però, gli Stati Uniti partono da una posizione di vantaggio nella corsa al microchip: il paese possiede infatti la leadership mondiale nella fase di progettazione dei semiconduttori, e la maggior parte delle tecnologie utilizzate per la loro produzione sono americane.

Inoltre, mentre Pechino dovrà fare i conti con l’isolamento internazionale, che sta contestando davanti all’Organizzazione mondiale del commercio, Washington ha attirato grandi investimenti in fabbriche di chip sul territorio americano.

LA SITUAZIONE DELLE AZIENDE CINESI

Secondo le fonti di Reuters, le aziende cinesi che trarranno maggiori benefici dal piano di incentivi di Pechino saranno le grandi produttrici di strumentazioni per i semiconduttori come NAURA, Advanced Micro-Fabrication Equipment e Kingsemi.

Le società cinesi non possiedono però gli stessi livelli di sofisticatezza tecnica di quelle taiwanesi, statunitensi o nederlandesi, e non dispongono dunque di apparecchi capaci di realizzare chip avanzati. I macchinari di NAURA, ad esempio, possono produrre solo chip da minimo 28 nanometri; Taiwan Semiconductor Manufacturing Company costruirà in Arizona due fabbriche di chip da 4 e 3 nanometri. Shanghai Micro Electronics, l’unica società di litografia in Cina, può produrre chip da 90 nanometri, mentre ASML arriva fino a 3 nanometri.

YMTC NELLA BLACKLIST

In aggiunta ai controlli alle esportazioni già emessi e al coordinamento in merito con il Giappone e i Paesi Bassi, l’amministrazione Biden – fa sapere il Financial Times – inserirà il produttore di chip cinese Yangtze Memory Technologies (YMTC) in una “lista nera” commerciale, forse già questa settimana, per ragioni di sicurezza nazionale.

Le aziende americane non possono vendere tecnologie alle società presenti nella blacklist, a meno che non ottengano (ma è estremamente difficile) una specifica licenza di esportazione da parte delle autorità.

Back To Top