Skip to content

Gli Usa insistono con gli investimenti nella fusione nucleare

Gli Stati Uniti aumentano gli investimenti nella fusione nucleare con un nuovo fondo da 180 milioni di dollari e puntano a commercializzare la tecnologia nel giro di un decennio. Tra le aziende che hanno avuto accesso ai finanziamenti americani c'è anche Commonwealth Fusion Systems, sostenuta da Eni.

Il dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti ha annunciato un nuovo finanziamento da 180 milioni di dollari alla ricerca sulla fusione nucleare, un procedimento per la produzione di energia pulita diverso dalla fissione e molto promettente, anche se lontano dall’industrializzazione.

LA “GARA GLOBALE” SULLA FUSIONE NUCLEARE

Nonostante le difficoltà tecniche – i progetti sperimentali non riescono ancora a stabilizzare il processo per molto tempo e a garantire un sostanzioso guadagno energetico -, l’amministrazione di Joe Biden punta ad arrivare alla commercializzazione della fusione nel giro di un decennio, anche per ragioni politiche: come ha dichiarato il vicesegretario dell’Energia David Turk, infatti, “lo sviluppo dell’energia da fusione come fonte di energia pulita, sicura e abbondante è diventato una gara globale e gli Stati Uniti rimarranno in testa”.

GLI AIUTI ALLE AZIENDE (E IL RUOLO DI ENI)

La strategia dell’amministrazione Biden per la fusione nucleare prevede una collaborazione tra i settori pubblico e privato sul modello del Commercial Orbital Transportation Services della NASA, il programma che ha contribuito allo sviluppo di aziende capaci di trasportare personale e rifornimenti verso la Stazione spaziale internazionale.

Circa un anno fa il dipartimento dell’Energia aveva stanziato finanziamento da 46 milioni di dollari a otto aziende americane di fusione nucleare: Focused Energy, Princeton Stellarators, Realta Fusion, Tokamak Energy, Type One Energy, Xcimer Energy, Zap Energy e Commonwealth Fusion Systems, di cui Eni è azionista strategica. Commonwealth Fusion Systems stima di completare, per il 2026, un sistema dimostrativo capace di produrre energia con un guadagno seguito, seguito da un impianto commerciale – vale a dire una centrale elettrica da fusione – nei primi anni 2030.

L’ESPERIMENTO DEL LABORATORIO LAWRENCE LIVERMORE

Gli Stati Uniti sono stati il primo paese a raggiungere un guadagno energetico netto (cioè la produzione di più energia di quanta ne viene consumata durante il processo) da una reazione di fusione nucleare: lo hanno fatto nel 2022 con un esperimento nel laboratorio Lawrence Livermore, poi ripetuto altre quattro volte.

Il laboratorio, però, segue un procedimento per la fusione chiamato confinamento inerziale, che prevede l’utilizzo di laser e che è molto diverso dalla tecnologia generalmente favorita dalle aziende perché considerata più scalabile: cioè la fusione a confinamento magnetico, basata – come da nome – su potenti magneti.

LA COLLABORAZIONE TRA STATI UNITI E GIAPPONE

La strategia degli Stati Uniti per la fusione nucleare prevede anche la creazione di “partnership esterne”. Ne è un esempio la collaborazione – annunciata ad aprile – con il Giappone, che coinvolge aziende private, laboratori e università. Alla COP28 di Dubai, nel novembre 2023, l’America ha promosso un engagement plan sulla fusione con trentacinque paesi, con lo scopo di accelerare il progresso di questa tecnologia attraverso la cooperazione sulla ricerca, sullo sviluppo della filiera, sulla formazione del personale e sulla regolazione normativa.

Secondo la Fusion Industry Association, un’associazione di settore con sede a Washington, ad oggi nel mondo i progetti di fusione hanno ricevuto finanziamenti per oltre 6 miliardi di dollari; l’80 per cento degli investimenti si concentrano negli Stati Uniti.

Torna su