Negli Stati Uniti i prezzi del carbone sono arrivati ai massimi da dodici anni. La ragione sta nello squilibrio tra la domanda, in aumento, proveniente dalle società energetiche e gli insufficienti livelli di offerta garantiti dall’industria mineraria nazionale.
QUANTO SALGONO I PREZZI
La settimana scorsa i prezzi spot del carbone nella regione dell’Appalachia centrale – che funge da riferimento per l’intero mercato americano del carbone termico – sono cresciuti di oltre 10 dollari, arrivando a 89,75 dollari alla tonnellata: non erano mai stati così alti dal 2009.
Anche nella regione del bacino del Powder River, in Wyoming (il primo produttore americano di carbone), la scorsa settimana i prezzi sono più che raddoppiati, fino a 30 dollari alla tonnellata.
LE RAGIONI
Negli Stati Uniti (e non solo lì) si sta tornando a utilizzare il carbone per la produzione di elettricità vista la forte richiesta di energia e l’aumento dei prezzi del gas naturale, che ha spinto le società energetiche ad utilizzare gli impianti a carbone, più convenienti in queste circostanze. È successo anche in Italia, alla centrale Eugenio Montale di La Spezia.
La forte domanda internazionale di carbone e gli alti prezzi del combustibile hanno sostenuto le esportazioni all’estero degli estrattori americani. Gli Stati Uniti sono dei grossi produttori di carbone.
IL PARERE DI MOODY’S
Ben Nelson, vicepresidente dell’agenzia di rating Moody’s, ha detto al Financial Times che “l’industria del carbone non è in grado di rispondere abbastanza rapidamente al miglioramento delle condizioni di mercato”. Gli estrattori, in altre parole, non possono aumentare velocemente i loro livelli di output perché le capacità produttive sono state fiaccate da anni di scarsi investimenti: tra tutti i combustibili fossili il carbone è quello che emette le maggiori quantità di CO2 (oltre a tutta una serie di altri inquinanti), ed è pertanto la fonte meno compatibile con gli obiettivi internazionali di riduzione delle emissioni e di transizione ecologica.
“Ciò significa”, aggiunge Nelson, “che quando all’industria viene chiesto di alzare [l’offerta], non può più farlo come prima. C’è molta meno elasticità”.
COME SI VENDE IL CARBONE NEGLI STATI UNITI
È normale che la domanda di carbone aumenti prima dell’inverno, quando le basse temperature fanno crescere la richiesta di energia per il riscaldamento. La maggior parte del carbone termico (quello utilizzato per produrre l’elettricità) prodotto negli Stati Uniti viene venduto attraverso contratti di lungo termine. Pertanto, una situazione di “corsa” all’acquisto delle forniture rimanenti può provocare – come è stato – delle forti impennate di prezzo sul mercato spot, dove la compravendita è immediata.
LE PREVISIONI
Secondo l’Energy Information Administration, un’agenzia del governo americano, nel 2021 la generazione di elettricità dal carbone potrebbe aumentare su base annua per la prima volta dal 2014: la crescita rispetto ai livelli del 2020 è stimata al 22 per cento. Di conseguenza, le emissioni prodotte dal settore energetico nazionale aumenterebbero del 7 circa.
UNA SITUAZIONE TEMPORANEA
Non si tratta però di un aumento strutturale ma temporaneo, legato al contesto energetico internazionale e al forte rincaro del gas. Dal 2010 gli Stati Uniti hanno eliminato circa il 30 per cento della loro capacità elettrica da carbone, e dal 2013 non sono entrate in funzione nuove unità. Se si guarda oltre i dati del 2021, le previsioni dell’Energy Information Administration dicono che nel 2022 l’utilizzo del carbone diminuirà del 5 per cento.
Fino ad allora, comunque, gli estrattori di carbone americani approfitteranno degli alti prezzi sia sul mercato spot sia per i contratti di fornitura a più lungo termine.