Il “Rapporto sul mondo 2017” di Giuseppe Basini mette in fila e ordina una messe impressionante di dati relativi a tutti i principali campi di interesse per le politiche pubbliche: dall’andamento della popolazione e della demografia all’economia, alle comunicazioni, ai cambiamenti climatici
Giuseppe Basini è un liberale antico e modernissimo, con radici risorgimentali ottocentesche combinate con una ammirevole sfumatura “libertarian”, che lo porta a diffidare degli eccessi dello stato e del “pubblico”. Politico e già parlamentare, fisico con un notevole percorso accademico, ha appena realizzato un corposo volume per la Fondazione Fare Futuro, dall’ambizioso ma appropriato titolo “Rapporto sul mondo 2017”.
Siamo dinanzi a un lavoro enciclopedico, che mette in fila e ordina una messe impressionante di dati relativi a tutti i principali campi di interesse per le politiche pubbliche: dall’andamento della popolazione e della demografia alle materie prime, dall’economia alle comunicazioni, dall’energia all’istruzione e alla ricerca, fino a considerazioni finali geopolitiche e militari, senza dimenticare la dialettica tra economia reale e sviluppo finanziario.
In un oceano di numeri e valutazioni, provo a isolare – del tutto arbitrariamente – cinque punti fermi, che valgono come mio personale invito alla consultazione del volume “Rapporto sul mondo 2017”.
1. E’ di enorme interesse l’ampia sezione iniziale che Basini dedica agli aspetti demografici. L’autore non si limita a elencare i dati sulla crescita della popolazione mondiale (area per area), sull’allungamento dell’aspettativa di vita, e sui tassi di fertilità (assai elevati nell’enorme fascia Sud del mondo), ma intreccia tutto questo con altri due elementi decisivi, in una preziosa lettura interdisciplinare: per un verso, gli effetti su agricoltura e nutrizione, sulla necessità di aprire agli ogm andando oltre le demonizzazioni, sulla disponibilità delle materie prime, sulle ricadute in termini di spesa sanitaria e – in prospettiva – di welfare; per altro verso, i riverberi potenzialmente esplosivi in termini di flussi migratori.
2. Non meno significativo è l’insieme dei capitoli di “Rapporto sul mondo 2017” dedicati alle comunicazioni immateriali e materiali. Nel primo caso, avendo come centro Internet e la diffusione dei social network, nel secondo caso ragionando in particolare su quanto accade oggi (e quanto potrebbe accadere domani, in base agli attuali trend) nei trasporti stradali, aerei e navali, considerando anche l’impatto più o meno lento di nuovi veicoli e nuovi modelli energetici.
3. E’ particolarmente appropriato, in tema di energia, il focus sull’Italia. Basini, numeri alla mano, ha buon gioco a indicare gli errori del passato remoto (la rinuncia al nucleare), quelli del passato prossimo (la costosa e inefficace incentivazione delle energie alternative) e quelli del presente (con una sostanziale accresciuta dipendenza dall’estero, Russia in testa). Ognuno può ricavarne osservazioni sulla scarsa lungimiranza di alcune scelte, e anche un delicato posizionamento geopolitico dell’Italia, a questo punto.
4. E’ affascinante l’ampia sezione che l’autore, in “Rapporto sul mondo 2017”, dedica a una delle sue passioni scientifiche e intellettuali: lo spazio. Basini fa un po’ di storia sulla ricerca mondiale nel settore negli ultimi decenni, indica alcune – a suo avviso realistiche – possibilità di ulteriore ricerca, e lancia la suggestione dello spazio (e della relativa ricerca) come nuovo fattore di sviluppo. Perché interrompere il cammino di ricerca che ha accompagnato i momenti migliori della storia umana? Lo spazio può essere un luogo “non alieno”, anche in termini di possibile futura “colonizzazione”. E l’autore fa bene – a me pare – a mettere in fila, come doppio e opposto monito, sia alcune “cantonate” su prospettive scientifiche rivelatesi impossibili, sia, per converso, su conquiste in passato ritenute impensabili e invece realizzate dall’ingegno umano.
5. Tornando sulla terra, il quinto e ultimo settore che desidero segnalare è il corpo di dati che Basini ordina e classifica sul tema dei cambiamenti climatici, dell’innalzamento delle temperature, del rischio di progressivo scioglimento delle calotte polari. Basini è credibile, perché non è un ambientalista “ideologico” e “terroristico”: anzi, invita correttamente a diffidare delle letture troppo catastrofiste, ma al tempo stesso – con apprezzabile onestà scientifica e intellettuale – si tiene a distanza anche da chi nega l’esistenza di qualunque problema.
Su questo, aggiungo una duplice nota personale, una mia autentica ossessione. Primo. Comunque la si pensi sulle questioni climatiche e ambientali (non sono un catastrofista, come si immagina!), occorrerebbe che il nostro Occidente avesse il coraggio di smontare un luogo comune. Ammesso che ci siano motivi di preoccupazione per l’ambiente e il clima, non siamo affatto dinanzi a un effetto collaterale dello sviluppo occidentale, ma – al contrario – a una conseguenza del recente poderoso sviluppo di paesi del Sud del mondo e comunque non occidentali.
Secondo. Questa stessa crescita dei paesi in via di sviluppo ha portato a una fantastica riduzione dei tassi globali di povertà nel pianeta. Non è vero (come recita una propaganda ideologicamente anti-mercato) che “i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri”. Anche i poveri sono divenuti un po’ più ricchi, o fortemente meno poveri. Certo, a tassi differenziati: non sempre il capitalismo ha prodotto tassi di crescita omogenei tra Nord e Sud del mondo. Ma è un fatto che, dal 1990 a oggi, i livelli di povertà nel mondo siano crollati. Ovvio che non tutto sia risolto: chi lo pensa è un pazzo. Ma stiamo attenti, prima di liquidare quegli “attrezzi” (mercato, capitalismo, commercio internazionale) che hanno prodotto questi eccellenti risultati.
Chiudendo la parentesi e tornando al “Rapporto sul mondo 2017” di Basini, siamo dinanzi a uno strumento assai utile per gli studiosi di ogni ambito, per i policy-makers, e non solo. Direi: per chiunque voglia studiare, conoscere alcuni dati, occuparsi della sostanza, e uscire dall’improvvisazione. Da alcuni anni, siamo dentro un “reality-show” collettivo fatto di emozioni più che di conoscenze e ragionamenti, di liti e polemiche come elemento per attrarre interesse, di superficialità mista a chiacchiera mediatizzata.
Se la politica vuole recuperare non solo autorevolezza, ma anche vera presa sui tavoli decisionali, farà bene a tornare ad attrezzarsi, ad acquisire e valorizzare le competenze tecniche. Altrimenti, la deriva già in atto potrà solo acuirsi: leader politici come intrattenitori televisivi (o come macchiette, a seconda dei casi), e poi, dietro le quinte, tecnoburocrazie non elette come titolari del potere vero, invisibile, ademocratico, non controllato.
Daniele Capezzone