Gli Stati Uniti vogliono liberarsi del peso della Russia sul loro settore dell’energia nucleare. Il mese scorso, infatti, la Camera dei rappresentanti americana ha approvato un progetto di legge – il Prohibiting Russian Uranium Imports Act – che vieta le importazioni di uranio russo. Per entrare in vigore, però, la proposta dovrà ricevere l’ok anche del Senato e venire firmata dal presidente Joe Biden.
Parallelamente – è notizia di pochi giorni fa -, il dipartimento dell’Energia ha fatto sapere di accettare candidature dalle aziende interessate alla creazione di una filiera nazionale di HALEU, un tipo di uranio arricchito a livelli più alti di quello convenzionale e necessario per l’alimentazione di una nuova tipologia di reattori di piccola taglia.
COSA PREVEDE LA PROPOSTA DI LEGGE
Quanto alla messa al bando dell’uranio russo, la proposta potrebbe avere ripercussioni sulle centrali nucleari statunitensi perché Mosca è una fornitrice importante di questo combustibile: nel 2022 la Russia ha fornito il 12 per cento dell’uranio utilizzato nei reattori americani, stando ai dati dell’Energy Information Administration. Proprio per questo, Washington non ha finora vietato gli acquisti di uranio russo dopo l’invasione dell’Ucraina, mentre ha bandito quelli di petrolio.
Per tutelare la continuità della generazione energetica e la sicurezza nazionale, allora, la proposta di legge prevede delle esenzioni per l’importazione di uranio russo a basso arricchimento qualora il dipartimento dell’Energia dovesse stabilire l’assenza di fornitori alternativi in un dato momento. Queste esenzioni dureranno fino al 2027, ma i volumi di importazione consentiti si ridurranno gradualmente.
CHI SPINGE PER IL BAN ALL’URANIO RUSSO
Si stima che il Prohibiting Russian Uranium Imports Act causerà un aumento del 13 per cento del prezzo del combustibile nucleare per i reattori americani, riducendo i loro margini operativi. Tuttavia, la spinta politica per il distacco dalla Russia è forte. Al di là della volontà di privare il Cremlino di una rilevante fonte di entrate, i Repubblicani pensano che l’affidamento a Mosca per l’uranio rappresenti un rischio per le capacità industriali americane.
Un tempo, peraltro, gli Stati Uniti dominavano il mercato dell’arricchimento di questo elemento, ma il settore entrò in crisi a seguito di un accordo del 1993 con la Russia per l’acquisto di materia prima a basso prezzo; un accordo che distrusse la profittabilità dei processi americani.
QUANTO VALE L’URANIO RUSSO PER GLI AMERICANI
La Russia è una fornitrice rilevante di uranio per le centrali nucleari americane, ma non è la prima. Come detto, nel 2022 gli stabilimenti americani hanno importato circa il 12 per cento dell’uranio consumato dalla Russia, superata però dal Kazakistan (25 per cento) e dal Canada (27 per cento). L’uranio prodotto internamente è valso solo il 5 per cento.
GLI SFORZI (ANTI-RUSSI) PER L’HALEU
Per quanto riguarda invece l’HALEU, il combustibile nucleare ad alto tasso di arricchimento necessario ai reattori modulari, anche in questo caso gli sforzi per la costruzione di una supply chain nazionale muovono da una volontà di distacco da Mosca: ad oggi, infatti, l’unica azienda è commercializzarlo è TENEX, parte della società statale russa Rosatom.
Il dipartimento dell’Energia può contare su fondi per circa 500 milioni di dollari (provengono dall’Inflation Reduction Act) per il sostegno alla produzione di HALEU. Lo sviluppo del combustibile è intimamente legato allo sviluppo dei nuovi reattori da parte di aziende come TerraPower, che ha dovuto posticipare la data di avvio di un suo progetto nel Wyoming proprio per l’indisponibilità della materia prima.
L’unica azienda statunitense attualmente in possesso di una licenza per produrre HALEU è Centrus Energy, che ne sta fornendo in piccole quantità al dipartimento dell’Energia per scopi dimostrativi. Un’altra possibile candidata potrebbe essere l’europea Urenco (un consorzio britannico-tedesco-nederlandese), ma non ci sono certezze.