L’industria europea del fotovoltaico ha criticato la proposta del Parlamento europeo di escludere i pannelli prodotti in Cina dalle aste per l’energia. La Cina vale circa l’80 per cento della produzione mondiale di questi dispositivi; la loro esclusione dalle aste – così ritiene l’industria europea – rischia di complicare il raggiungimento degli obiettivi comunitari sull’energia rinnovabile e sulle emissioni di gas serra.
L’INDUSTRIA TEDESCA CRITICA L’EUROPARLAMENTO
Carsten Pfeiffer, rappresentante dell’associazione tedesca per l’energia rinnovabile BNE, ha detto a Euractiv che se l’Unione europea dovesse davvero imporre “rigidi requisiti di contenuto locale nel Net-Zero Industry Act, […] silurerebbe il Green Deal e minerebbe pesantemente la propria credibilità in termini di protezione del clima”. Il Net-Zero Industry Act è la proposta di legge per dare stimolo alla manifattura europea di “tecnologie pulite”, oggi generalmente carente. Con “tecnologie pulite” si intendono tutti quei dispositivi necessari alla decarbonizzazione, come le batterie, le turbine eoliche e i pannelli fotovoltaici.
Per stimolare la manifattura interna, il Parlamento di Strasburgo vorrebbe stabilire una quota massima del 50 per cento di tecnologie pulite cinesi ammesse alle aste europee per l’energia rinnovabile. Così facendo, però, molti parchi solari – formati da moduli prodotti in Cina a basso costo – finirebbero esclusi. La BNE, in una lettera inviata al cancelliere tedesco Olaf Scholz, ha detto che il 90 per cento dei posti di lavoro nel settore solare sono legati all’installazione dei pannelli e non alla loro manifattura; e che la sopravvivenza di questi posti di lavoro è minacciata dalle politiche europee (in particolare dalla linea dura del Parlamento, definita protezionistica).
LA POSIZIONE DI SOLARPOWER EUROPE
Dichiarazioni simili sono state fatte anche da SolarPower Europa, un’altra associazione di categoria che rappresenta sia i produttori che gli installatori europei di dispositivi solari. A detta di SolarPower Europe, l’Unione deve sì sostenere lo sviluppo della manifattura interna, ma deve anche “essere parte di una filiera solare globalizzata per soddisfare gli obiettivi climatici ed energetici”.
I criteri proposti dal Parlamento non riguarderanno i pannelli fotovoltaici cinesi installati sui tetti delle case, pensati principalmente per l’autoconsumo, bensì quelli presenti nei grandi impianti – i cosiddetti “parchi solari” – che forniscono energia alla rete elettrica.
GERMANIA CONTRO FRANCIA?
Se la Germania, o quantomeno l’industria tedesca, spinge per un rilassamento delle norme, la Francia muove in direzione opposta. Il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire ha dichiarato infatti che “se non saremo in grado di difendere il principio stesso delle clausole di ‘contenuto europeo’, allora avremo lavorato per niente e le nostre aziende chiuderanno”. Mentre Berlino insegue il principio di economicità, Parigi presta più attenzione alla capacità industriale.
CONSIGLIO EUROPEO CONTRO PARLAMENTO?
La proposta della Commissione europea per il Net-Zero Industry Act fissa per il 2030 un obiettivo minimo di produzione interna all’Unione del 40 per cento per tutte le tecnologie pulite. Le associazioni di categoria vorrebbero invece obiettivi distinti per ogni tecnologia, anche considerato il dominio solidissimo della Cina sull’intera filiera fotovoltaica, dal polisilicio (una sorta di materia prima) alla cella fino al pannello finito.
La speranza dell’industria è che il Consiglio europeo, espressione degli stati membri, adotti un approccio molto più moderato di quello del Parlamento.