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Net-zero

Industria net-zero? Usa e Ue d’accordo solo nel rottamare il Wto. Report Ispi

Dopo l'Ira americana, il Net-Zero Industry Act della Commissione Ue aggiunge un altro chiodo alla bara del Wto. Ecco come e perché. L'analisi dell'Ispi

 

L’Ue volge le spalle al liberismo, al WTO e alle sue regole contro le misure discriminatorie e segue gli Usa sulla strada del protezionismo per quanto concerne l’industria verde, varando un nuovo piano industriale – chiamato Net-Zero Industry Act – che punta a rafforzare la capacità produttiva europea e ridurre le dipendenze strategiche nei settori chiave per la decarbonizzazione.

Il piano della Commissione Ue

Presentato ufficialmente giovedì, il Net-Zero Industry Act è parte di quell’iniziativa da 270 miliardi di dollari chiamata Green Deal Industrial Plan che era stata annunciata dalla Presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen il mese scorso a Davos.

Procedendo a colpi di sussidi e semplificazioni normative, il piano fissa degli obiettivi per le tecnologie considerate necessarie per decarbonizzare l’economia del continente. Il tutto con lo scopo ultimo di ridurre drasticamente la dipendenza dalle industrie di Paesi terzi come la Cina.

Gli otto settori a cui sono destinati gli interventi della Commissione sono il fotovoltaico, l’eolico, le batterie, le pompe di calore, l’energia geotermica, gli elettrolizzatori, la carbon capture e le tecnologie di rete.

L’energia nucleare non è inclusa negli otto settori strategici, ma nel testo presentato dalla Commissione si fa riferimento a “piccoli reattori modulari” e a “tecnologie avanzate per produrre energia da processi nucleari con spreco minimo dal ciclo del combustibile”.

Questi settori beneficeranno di un accesso più facile ai finanziamenti e di autorizzazioni più rapide con un taglio netto agli adempimenti burocratici necessari per avviare le attività produttive.

L’obiettivo ultimo del piano è di far sì che la capacità produttiva dei Paesi dell’Unione raggiunga almeno il 40% delle esigenze legate alla transizione energetica.

Le dichiarazioni della Commissione

Nel presentare il piano, von der Leyen ha dichiarato che l’Europa ha bisogno di “un ambiente regolatorio che ci permetta di avanzare rapidamente nella transizione verso l’energia verde”. Il Net-Zero Industry Act si prefigge proprio questo, creando “le migliori condizioni per quei settori che sono cruciali per noi per raggiungere l’obiettivo delle emissioni zero entro il 2050”. Con il nuovo piano, ha aggiunto la Presidente, l’Ue sarà in grado di intercettare la crescente domanda di queste tecnologie con una produzione autoctona.

“Se vogliamo raggiungere la neutralità climatica nel 2050”, sono state invece le parole, riportate da Politico, del Vicepresidente della Commissione Frans Timmermans, “e se vogliamo cogliere tutte le opportunità ed essere all’altezza delle sfide di questa nuova rivoluzione industriale, abbiamo bisogno di una massiccia avanzata nella manifattura verde”.

Lo stato dell’arte della transizione energetica

Come osserva l’Ispi, il mercato globale per la produzione delle tecnologie net-zero triplicherà entro il 2030.

In questo preciso momento, è Pechino, con il suo attuale giro d’affari stimato in 600 miliardi di euro, ad aggiudicarsi la pole position di questo mercato: la Cina infatti, scrive ancora l’Ispi, ”produce il 70% della quota globale di moduli fotovoltaici, il 77% delle batterie elettriche, l’84% delle pale delle turbine eoliche offshore e circa il 40% delle pompe di calore”.

Con questo squilibrio produttivo in favore del Dragone è dietro l’angolo il rischio di una indesiderabile dipendenza strategica da una potenza la cui torsione autoritaria e imperialista si è fatta più acuta sotto la presidenza di Xi Jinping.

E proprio per scongiurare che la transizione energetica non porti benefici eccessivi a Pechino che l’Amministrazione Biden aveva varato lo scorso autunno l’ormai famoso piano dell’Inflation Reduction Act (Ira) che punta a sussidiare e agevolare la produzione locale delle tecnologie green, con un budget previsto di ben 369 miliardi di dollari.

Bye bye WTO?

Dinanzi allo scenario dei due principali blocchi economici mondiali che finanziano direttamente le proprie industrie in palese violazione di quelle regole del libero mercato che sia l’America che l’Europa avevano ufficialmente professato di rispettare sin dai giorni di Reagan, Thatcher e della caduta del muro di Berlino, si staglia evidente il perdente: l’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO).

Come rileva l’Ispi, l’Ue, “dopo mesi di proteste e discussioni con Washington per rientrare nell’elenco dei Paesi esigibili dei sussidi USA, propone ora la stessa ricetta. Il Net-Zero Industry Act è quindi un altro chiodo nella bara di un WTO sempre più privato della capacità e dell’autorità di regolare i rapporti commerciali mondiali”.

Può dunque il WTO, è la conclusione dell’Istituto diretto da Paolo Magri, “avere ancora un ruolo in una globalizzazione che si fa più regionale e frammentata?”

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