Bruxelles chiede, Roma esegue. Ma non sarà affatto facile. Tutto ruota attorno a quel Critical Raw Material Act, proposta di legge presentata a marzo dalla Commissione europea finalizzata a «garantire catene di approvvigionamento sicure e sostenibili per il futuro verde e digitale dell’Unione europea».
COSA DICE LA COMMISSIONE UE SULLE TERRE RARE
Questo con l’obbligo per i 27 del club comunitario di raggiungere una maggiore autonomia interna nell’approvvigionamento delle materie prime essenziali alla mobilità elettrica del futuro. Quello che l’Europa vuole fare, essenzialmente, è ridurre la propria dipendenza dalla Cina, un fornitore capriccioso ma anche ambiguo, che geopoliticamente si pone sul fronte opposto a quello del Vecchio continente e che dunque anche per questo potrebbe chiudere i rubinetti e alzare i prezzi. Sarebbe un dramma per l’Europa, che attualmente importa circa l’80% delle materie prime critiche e da Pechino acquistiamo il 93% del magnesio e l’86% dei metalli rari.
URGE METTERSI A SCAVARE
Come ha ricordato anche alla masseria di Bruno Vespa il ministro Adolfo Urso che ha in mano il dossier in quanto punta del dicastero industriale, secondo il nuovo regolamento Ue, entro il 2030 il 10% del consumo annuale di ciascuna materia prima critica dovrebbe essere estratto all’interno del Vecchio continente e raffinare il 40%. Il 15% dovrebbe provenire dal riciclaggio. La percentuale massima di importazione consentita per ogni materia scenderà al 70%.
COM’È MESSA L’ITALIA
Per Urso però a ostacolare la roadmap europea sono le regole “green” che si sono dati i Paesi membri: «In Cina per aprire un giacimento impiegano tre mesi, la media europea è 15 anni. Secondo le vecchie mappe 15 materie prime su 32 sono presenti in giacimenti italiani, la quasi totalità in zone protette e tutelate dal punto di vista paesaggistico e ambientale. Servono delle eccezioni per estrarre e lavorare i metalli».
DOVE CERCARE?
Dai dati storici richiamati anche da Urso si sa che ci sono alcune vecchie miniere in Piemonte (Startmag ne ha parlato qui), che Altamin, multinazionale mineraria australiana che porta avanti pochi progetti mirati – soprattutto ricerche e rilievi –, presente in Italia da tempo, anche attraverso le controllate Strategic Minerals Italia Srl ed Energia Minerals Srl, intende sondare per capirne la portata.
Il Progetto Punta Corna ha radici in un luogo storicamente noto per le estrazioni di cobalto, nichel, rame e argento. I recenti campionamenti di Alta, ha fatto sapere tempo fa il gruppo, hanno restituito saggi di alto grado su una lunghezza di oltre 2 km da vene multiple sub-parallele, con un buon potenziale per la scoperta di ulteriori vene mineralizzate e una significativa estensione in profondità.
Qui la speranza sarebbe trovare soprattutto cobalto – e non è detto che sia in quantità sufficiente ad avviare il giacimento -, dato che quasi tre quarti della produzione mondiale avviene nella Repubblica democratica del Congo dove Amnesty International e altre associazioni denunciano le condizioni critiche in cui, nelle miniere a conduzione locale (il più è invece in mani cinesi) sono costretti a lavorare i minatori, spesso minori, trattati a stregua di schiavi.
IL NORD OVEST RICCO DI GIACIMENTI?
In Piemonte Altamin si muove su basi storiche: il minerale veniva estratto in queste zone già nel Settecento e usato come pigmento per stoffe e opere d’arte. Difficile però dire sulla base di ciò che le vene che corrono sotto le Alpi siano sufficienti al fabbisogno della rivoluzione industriale che stiamo per abbracciare.
Altamin ha presentato domanda di autorizzazione per il Monte Bianco e il Corchia (Toscana), i due distretti minerari storici più importanti d’Italia, ricchi di rame, cobalto e manganese. Difficile però affermare che questo basti a renderci i primi in Europa, come detto dal ministro.
Sempre Altamin si sta recentemente scontrando con le popolazioni delle valli dell’estremo levante ligure Graveglia, Gromolo, Petronio e Vara, ma non perché è in cerca di litio, ma di rame, piombo, manganese, zinco, argento, oro, cobalto, nickel e minerali associati in diversi siti della zona, tanto da aver spinto la Regione Liguria a sedersi a un tavolo coi sindaci interessati, come ricordammo qui.
L’area interessata dalla ricerca è molto vasta, circa 8 mila ettari, e interseca i territori dei comuni di Sestri Levante, Né, Casarza Ligure e Castiglione Chiavarese: non si scaverà in questa fase, viene sottolineato nel progetto, ma si partirà da una valutazione “storica” delle vecchie miniere, circa una decina, già presenti nell’area, a cui si aggiungeranno campioni di rocce affioranti, acque dei torrenti e sondaggi elettromagnetici capaci di fornire una “ecografia” delle rocce in profondità. Sempre in Liguria, tra i comuni di Urbe e Sassello, nel Parco Nazionale del Beigua, si trova il giacimento di Pianpaludo, il più grande di titanio in Europa, e uno dei più grandi del mondo, che però vista l’area di interesse rischia di restare al di fuori della portata di tale meccaniche, ruspe, escavatori e cariche di tritolo.
DAL LAZIO ALLA CAMPANIA
Vulcan Energy ha ottenuto un permesso di ricerca per esplorare, nel Lazio, un pozzo scoperto da Enel nel 1974 a circa 1.390 metri di profondità. Lavorerà gomito a gomito con Altamin, in una vera e propria gara a chi tra le due arriverà per prima al giacimento, ammesso esista. Sappiamo che nella zona del lago di Bracciano, parecchio in profondità, tra i 1.500 e i 3000 metri, ci sono fluidi geotermici.
Si trovano nella zona vulcanica laziale ma anche in Campania. Furono esplorati negli anni 70-80 perché erano interessanti per la produzione di energia elettrica geotermica. Il progetto non andò in porto, ma in compenso sono “venute a galla” acque salate calde che contengono molto litio, anche 500 mg per litro di soluzione.