Lo scorso dicembre il tasso di inflazione in Italia è arrivato al 3,9 per cento, rispetto al 3,7 per cento di novembre. In media, nel 2021 i prezzi al consumo sono cresciuti dell’1,9 per cento, il valore più alto dal 2012.
IL COSTO DELL’ENERGIA
La causa, spiega l’ISTAT, è il costo alto dell’energia e in particolare del gas naturale, utilizzato come combustibile e come materia prima per la generazione di energia elettrica. Nel primo trimestre del 2022 (gennaio-marzo) le bollette di luce e gas sono aumentate ancora, rispettivamente del 55 e del 41,8 per cento.
LE RIPERCUSSIONI PER LE AZIENDE
Prezzi così alti dell’energia – specialmente considerata la dipendenza dell’Italia dal gas di importazione – sono un problema per le aziende, e in particolare quelle “energivore”, che ne consumano in grandi quantità per alimentare i propri processi produttivi: tra i settori più colpiti ci sono la metallurgia e la siderurgia, il cemento, la ceramica, il vetro e il legno.
Secondo Confindustria, nel 2022 le imprese spenderanno 37 miliardi di euro per l’energia. Nel 2019, prima della crisi pandemica, la spesa era stata di 8 miliardi; nel 2021 si è arrivati a 21 miliardi.
COSA SUCCEDE TRA IMPRESE, LAVORATORI E SINDACATI
L’inflazione alta incide pesantemente anche sugli stipendi dei lavoratori. Repubblica scrive oggi che il settore del legno ha dato un “ritocco” agli incrementi salariali previsti, adeguandoli non sull’IPCA (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i paesi dell’Unione europea) ma sul suo lordo. Il quotidiano spiega che “due terzi della fiammata dei prezzi — +4,8% registrato da Istat — sono proprio legati a elettricità e gas”.
I sindacati come CGIL, CISL e UIL considerano l’IPCA inadeguato e capace di “condizionare tutti i tavoli di rinnovo contrattuale” aperti o in procinto di esserlo. Secondo il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, al 31 dicembre scorso risultano 622 contratti nazionali scaduti, pari al 63 per cento del totale; 202 di questi sono scaduti da oltre cinque anni, e 42 da più di dieci. Altri 122 contratti scadranno nel 2022.
A breve inizieranno le trattative sull’adeguamento all’inflazione degli stipendi dei lavoratori nel commercio, poi nel terziario e nella distribuzione (2,4 milioni di persone), nell’energia e petrolio (altre 40mila) e nel cemento. A giugno scadrà il contratto per il settore chimico-farmaceutico e poi quello di gomma e plastiche (350mila addetti).
IL PROBLEMA DEI METALMECCANICI
Repubblica definisce “spiazzati” i metalmeccanici, che l’anno scorso hanno firmato un rinnovo di contratto che prevede “rialzi rispetto all’aumento salariale concordato del 6,15% tra 2021 e 2024” in caso di aumento dell’inflazione. Ma l’inflazione viene misurata sempre a partire dall’IPCA, e dunque al netto della componente energetica. Può essere un problema, dato che l’Ufficio parlamentare di bilancio stima che nel 2022 i prezzi saliranno almeno del 3,6 per cento.
UNA “PROVOCAZIONE”, PER CONFINDUSTRIA
Confindustria, che rappresenta gli interessi delle aziende, ha parlato della proposta di aumento dei salari come di una “provocazione”, considerato il contesto di prezzi alti dell’energia. Propone, per rafforzare il potere d’acquisto dei lavoratori, di ridurre il cuneo fiscale e assieme a questo il costo del lavoro.