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Marmolada

La lezione della Marmolada

A un anno dalla tragedia della Marmolada si può rilevare con estrema soddisfazione, quale segno di consapevolezza civica, la decisione della magistratura di archiviare l'indagine, ritenendo il distacco del ghiacciaio un evento non prevedibile e quindi non imputabile ad alcuno. L'intervento di Battista Falconi

 

A un anno dalla tragedia della Marmolada si può rilevare con estrema soddisfazione, quale segno di consapevolezza civica, sia la decisione della magistratura di archiviare l’indagine, ritenendo il distacco del ghiacciaio un evento non prevedibile e quindi non imputabile ad alcuno, sia l’atteggiamento dei parenti delle vittime, che sono stati intervistati e che non hanno espresso alcuna contestazione: né contro questo pronunciamento dei giudici, né contro la montagna quale, chiamiamola così, “responsabile” dell’accaduto.

Ricordiamo che si sono contati 11 morti e 9 feriti.

Particolarmente efficace è risultata la dichiarazione di Reinhold Messner, che in quota ha perso due fratelli, secondo cui la montagna non è colpevole perché la montagna “sta già lì con i suoi pericoli”: chi la frequenta sa bene quali siano o almeno dovrebbe saperlo e, in caso diverso, è la persona inesperta a dover rimproverare se stessa.

Si tratta di un discorso duro, poco simpatico e soprattutto poco frequente, perché siamo sempre meno abituati a distribuire le responsabilità, nei casi di tragedie con danni e vittime umane, anche a queste ultime. Ma bisogna ricordare che, per esempio, nel caso delle ultime alluvioni si sono registrati, da parte delle persone residenti nei territori coinvolti, degli atteggiamenti assurdi e autolesionistici: dal tentativo o di recuperare l’auto in garage al ritardo nell’abbandonare le abitazioni, anche dopo la diramazione dell’allerta. Sempre restando all’alluvione, in particolare dell’Emilia Romagna, si è aperta come è noto una diatriba tra il Governo centrale e gli enti locali che, oltre a riguardare gli aspetti dei risarcimenti, investe il tema prioritario delle responsabilità, personale ma anche oggettivo.

Se si continua a ricondurre le conseguenze di qualunque evento atmosferico estremo ai cambiamenti climatici si finisce per sollevare l’assunzione delle misure di mitigazione e adattamento ai governi centrali e alle convenzioni internazionali. Mentre se le si collega più minutamente all’incapacità dei territori di assorbire tali eventi, si prendono di petto le amministrazioni nella gestione e nella cura dei corsi d’acqua, delle strade, nelle politiche di urbanizzazione, nell’impermeabilizzazioni dei suoli.

Il problema non è solo è tanto il chi paga, che pure è notevole: si pensi che per l’Emilia-Romagna l’ordine di grandezza dei danni stimati si avvicina ai 10 miliardi, ricordiamo che siamo usciti da una manovra finanziaria di lacrime e sangue per un problema di rincaro energetico che era di poco più del doppio. C’è anche, infatti, una questione di scelte culturali. È chiaro che i fenomeni globali e quelli locali sono in un rapporto di concausalità, nessuno può seriamente negare gli uni né gli altri; ma la questione è dove valga la pena di investire le risorse e, quindi, a chi se ne debba attribuire l’onere, in funzione del verificarsi davvero frequente e inquietante di queste occorrenze.

Rispetto a questo dibattito, come dicevamo, la scelta della magistratura e l’atteggiamento delle persone dopo la tragedia da Marmolada rappresentano un esempio virtuoso, originale e anche coraggioso che rifugge da questa tendenza un po’ perversa al causalismo e al colpevolismo, cioè a riportare ogni fatto negativo a un responsabile che ne debba pagare le conseguenze. Una tendenza consolidata da secoli di razionalismo occidentale e da decenni di politicizzazione della realtà. Basti pensare allo sviluppo delle scienze sociali, in particolare Sociologia e Psicologia, nel dopoguerra in Italia; alle teorizzazioni, tagliate molto con l’accetta, secondo cui quando accade qualcosa di nefasto la colpa non è mai della persona che si macchia di un reato ma della società che l’ha marginalizzata o dei genitori che non l’hanno bene educata.

Tracce di questa deformazione semplicistica le ritroviamo ancora oggi, quando un ragazzo alla guida di un mezzo potente commette alcune infrazioni gravi al codice della strada, quali eccesso di velocità e guida in stato di ebbrezza. In tali casi si cerca di “spiegare” e “capire”, anziché accettare che nella formazione alla vita queste cose purtroppo accadano. Che in gioventù le parti del cervello più suscettibili agli impulsi del piacere sono particolarmente attive, mentre quelle che sovrintendono alle decisioni riflessive e ponderanti sono ancora non del tutto mature, immaturità che in alcuni casi diviene patologica e che porta a prolungare il delirio di onnipotenza tipicamente infantile fino all’età adulta. Una banalità che spesso si rifiuta, nella presunzione che l’essere umano agisca come una macchina perfettamente razionale.

Uscire da questo sedicente, malinteso razionalismo e dalle analisi causalistiche e colpevolistiche è necessario, anzi urgente. Perché la realtà complessa ci pone davanti agli eventi negativi con maggiore frequenza, inevitabilmente, e dunque affrontarli anche con spirito di rassegnazione è l’unica arma per evitare frustrazioni pericolose per la sicurezza sociale e per la serenità individuale.

Per questo dovremmo tenere in considerazione il prezioso esempio della gente della montagna in occasione di questo anniversario della tragedia della Marmolada, le parole della madre che, con apparente distacco, chiede solo di potersi recare sul ghiacciaio e calpestare le impronte lasciate dal figlio sepolto dalla valanga. Chi va per la montagna, o per il mare, sa che nella vita si soffre, si rischia, si muore.

Chi scrive è un frequentatore occasionale, l’ultimo a poter lanciare messaggi, ma ha battuto sufficienti sentieri per imparare che in montagna è molto difficile considerare da lontano la difficoltà che si incontrerà in un certo passaggio, a volte la si sopravvaluta e altre la si sottovaluta.

Dunque, per affrontare un percorso, è giusto, doveroso, sacrosanto prepararsi, ma sapendo che un minimo di imponderabilità nella nostra missione rimarrà sempre escluso dalla nostra capacità di previsione e di controllo.

Una regola di vita elementare che dovremmo tenere sempre presente.

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