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Asia

Perché l’Italia sbuffa contro le regole europee per il gas

Tra le fonti "sostenibili" presenti nella tassonomia europea c'è il gas, ma a certe condizioni. Per l'Italia i limiti fissati da Bruxelles sono troppo stringenti e minacciano i progetti previsti. Tutti i dettagli

 

La settimana scorsa il governo italiano ha inviato un documento di protesta alla Commissione europea contro i requisiti per le centrali a gas presenti nella bozza della “tassonomia per la finanza sostenibile”. Si tratta dell’insieme di regole definite da Bruxelles per indirizzare i flussi degli investimenti verso destinazioni dall’impatto ambientale positivo.

COSA DICE LA TASSONOMIA SUL GAS

Nella bozza di tassonomia vengono classificati come “sostenibili”, e quindi in grado di accedere a certi finanziamenti, alcuni progetti sull’energia nucleare e sul gas naturale.

Per quanto riguarda il gas, nello specifico, potranno dirsi “verdi” solo quelle centrali che produrranno quantità di emissioni inferiori ai 270 grammi di CO2 equivalente per kilowattora, e ai 100 grammi dal 2030; che serviranno a sostituire impianti alimentati con combustibili fossili più inquinanti (il carbone, ad esempio); che riceveranno i permessi di costruzione prima del 31 dicembre 2030 e che saranno dotati di un piano di transizione ai gas low-carbon entro la fine del 2035.

IL RUOLO DEL GAS NELLA TRANSIZIONE ENERGETICA

Il gas naturale è un combustibile fossile e in quanto tale rilascia gas serra. Ma sarà comunque utile al percorso di transizione energetica – almeno nel breve-medio termine – perché permetterà di dare stabilità a una rete elettrica sempre più dominata dalle fonti rinnovabili intermittenti.

L’eolico e il solare, infatti, non producono energia in maniera costante ma dipendono dalle condizioni metereologiche. Il problema è mitigato dalle batterie, che consentono di stoccare l’energia generata in eccesso in certi periodi per utilizzarla in secondi momenti. Non lo risolvono, però:  su larga scala, infatti, i sistemi a batterie costano troppo e sono impraticabili.

Da qui, appunto, la necessità di fonti che “accompagnino” le rinnovabili: alcuni paesi stanno insistendo sul gas, altri sul nucleare.

LA SITUAZIONE IN ITALIA

In Italia ci sono quarantotto progetti di centrali a gas: possiedono una capacità complessiva di 20mila megawatt e necessiteranno di investimenti per circa 10 miliardi di euro. Tra i più importanti ci sono quelli di Brindisi Sud Cerano, La Spezia, Civitavecchia e Monfalcone. Il problema è che, viste le loro caratteristiche e i loro livelli di emissione, potrebbero non rientrare nella tassonomia europea e quindi non potranno accedere ai finanziamenti “verdi”.

LA PROTESTA DELL’ITALIA

Nel documento che l’Italia ha inviato alla Commissione europea, dunque, si protesta proprio contro la soglia massima dei 100 grammi di emissioni di CO2 per KWh, considerata troppo stringente.

Roma propone di alzarla a 340 grammi, oppure – stando alla ricostruzione di Radiocor – chiede il mantenimento di una media annuale di 750 chili di CO2 per KWh calcolata su un periodo di vent’anni (nella bozza di Bruxelles il valore di 550 chili).

LE POSIZIONI IN EUROPA

L’Italia, comunque, non è l’unico membro dell’Unione europea a essere scontento per la tassonomia. La Germania, per esempio, gradisce le regole per il gas naturale ma è contraria all’inclusione dell’energia nucleare tra le fonti sostenibili, considerandola pericolosa e costosa. La sua linea è condivisa da Austria e Lussemburgo.

Favorevoli al nucleare, invece, sono la Francia (che vi ricava circa il 70 per cento della sua energia elettrica), la Finlandia e la Repubblica ceca.

Viste i tanti malumori e le contrapposizioni, è probabile che la Commissione europea ritarderà nella pubblicazione della versione definitiva della tassonomia, che slitterebbe dopo gennaio. Poi la discussione si sposterebbe al Parlamento europeo e al Consiglio: avranno quattro mesi di tempo (più altri due straordinari) per valutare il testo ed eventualmente proporre modifiche. È possibile che la tassonomia venga bocciata dal Consiglio, ma servirebbe il voto contrario del 72 per cento degli stati membri, riporta Radiocor.

Per l’approvazione al Parlamento europeo, invece, serve la maggioranza: almeno 353 deputati su 705. Tra i partiti già dichiaratisi contrari alla tassonomia ci sono il Partito socialista europeo (PSE), Sinistra Europea e il Partito Verde.

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