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Ilva, che cosa può e deve fare lo Stato. Il commento di Liturri

Ilva: pensare di affidarsi solo al mercato nel caso di una fabbrica reduce dalla disastrosa gestione Riva, con i problemi ambientali e di sicurezza esplosi dal 2012, significava decretare il fallimento sia del mercato che dello Stato. Il commento di Liturri

(Terza parte dell’analisi di Giuseppe Liturri su Ilva dedicata a governo, Parlamento e scudo penale. La prima parte sul ruolo della magistratura si può leggere qui e la seconda su mosse e responsabilità di Arcelor Mittal si può leggere qui)

IL GOVERNO. IL PARLAMENTO. LA POLITICA.

Approfondiamo la questione dello scudo penale. Introdotto ad inizio 2015 dal governo Renzi, prorogato a termine (6/9/2019) dal decreto ‘crescita’ del governo Conte 1, inserito in un decreto ad inizio settembre dal Conte 2 e poi definitivamente cancellato in sede di conversione ad inizio novembre, con la nuova maggioranza politica giallorosa.

Vale la pena notare che su tutta la vicenda incombe pure la scure della Corte Costituzionale che però, visto i due interventi modificativi del Governo, ha rinviato gli atti al GIP che aveva trovato il decreto ‘non rispettoso di vari principi costituzionali’.

Sicuramente un atteggiamento ondivago, determinato dalla probabilissima crisi di governo che si sarebbe aperta in Senato se l’art. 14 del D.L. 101, contenente il nuovo scudo, fosse stato approvato con voti diversi da quelli dell’attuale maggioranza o fosse stato in ogni caso bocciato. Al M5S va riconosciuta una coerenza: sono sempre stati contrari allo scudo, e la senatrice Lezzi ha confermato apertis verbis che era perfettamente consapevole che la cancellazione dello scudo avrebbe comportato la rottura del contratto con ArcelorMittal (AM), azione già minacciata da AM a giugno in occasione del varo del precedente decreto. Piaccia o no, ma gran parte dei parlamentari pugliesi del M5S sono là perché espressione della volontà della comunità locale di chiudere l’Ilva, senza se e senza ma, perché ritenuta causa di morte dentro e fuori lo stabilimento. Ma dopo aver consapevolmente scelto una strada, il Governo esita, non trae le conseguenze.

L’intervista del ministro Patuanelli al Sole del 17/11 è disarmante a questo riguardo. Si accusa ArcelorMittal di “morte dell’azienda decretata per via unilaterale” e di “aver programmato ben prima di oggi il suo disimpegno”. Affermazioni gravi che richiedono prove e contrastano con la volontà del suo gruppo parlamentare di farla finita con l’Ilva così com’è. Perché non prendere atto della cessazione del rapporto con gli indiani, con conti da regolarsi in sede giudiziaria, e non assumere una posizione netta e conseguente riguardo al futuro della fabbrica? Di cos’altro hanno bisogno per capire che AM, senza scudo penale e senza AFO2, non c’è più?

In generale, proprio in considerazione delle enormi implicazioni di tipo sociale, economico-finanziario, ambientale ed occupazionale, stupisce che il governo non abbia ancora assunto l’unica iniziativa logica e sensata in questo caso: Lo Stato imprenditore, fatto costituzionalmente previsto dall’articolo 41.

Davvero si crede che ci sia in giro per il mondo un investitore paziente come lo Stato? Che potrebbe voler tutelare, ad un ragionevole costo, la filiera che è a valle ed a monte (l’indotto vale in termini occupazionali quasi quanto lo stabilimento) di una fabbrica così importante, come il settore automobilistico e meccanico. Capace di non mutilare la fabbrica con tagli al personale quando la domanda mondiale ha un peggioramento congiunturale. Oppure capace di valutare costi-benefici dell’intervento includendo anche gli aspetti economici, occupazionali, sociali ed ambientali, così come richiede la Costituzione. Senza avere l’ansia di vedere le quotazioni di Borsa oscillare alla pubblicazione di ogni rendiconto trimestrale con perdite.

Pensare di affidarsi al mercato nel caso di una fabbrica frettolosamente privatizzata e reduce dalla disastrosa gestione Riva, con i problemi ambientali e di sicurezza esplosi dal 2012, significava decretare il fallimento sia del mercato che dello Stato, finiti intrecciati in un viluppo inestricabile. Cosa puntualmente accaduta.

Forse sarebbe il caso di smetterla di vagheggiare una soluzione di mercato che semplicemente non esiste e non potrà mai esistere, date le specificità del caso, ed applicare la Costituzione. Altrimenti sarà la Magistratura a decidere tutto e ci sarà da raccogliere solo macerie.

(3. fine; la prima parte sulla magistratura si può leggere qui e la seconda su Arcelor Mittali qui)

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