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Gnl

Vi spiego fini e incognite sul Gnl africano per l’Italia

L'Italia alla ricerca di altri fornitori di Gnl. Le missioni in Algeria, Angola e Congo hanno fruttato una serie di accordi che aprono tenui prospettive ma che nell’immediato sono privi di sostanza e che costeranno molto. L'analisi di Sergio Giraldo

 

Sono rientrati a Roma i ministri Di Maio e Cingolani, volati in Africa in cerca di approvvigionamenti per sostituire il gas proveniente dalla Russia. Le visite in Algeria, Angola e Congo hanno fruttato una serie di accordi che aprono tenui prospettive ma che, pur dando atto ad ENI dei grandi sforzi compiuti, nell’immediato sono privi di sostanza. I 9 miliardi di mc aggiuntivi dall’Algeria, ad esempio, si intendono a regime: significa che inizieranno a fluire alla fine di quest’anno, non risolvendo il problema in caso di blocco già da giugno. Inoltre, circa 3 dei 9 miliardi di metri cubi saranno di GNL. Stessa cosa vale per i prospettici 6 miliardi di mc da Angola e Congo, tutti di GNL. Dunque, 9 miliardi di metri cubi di GNL, più i 3 dall’Egitto secondo il nuovo accordo stipulato da ENI. 12 miliardi di metri cubi di GNL che andrebbero rigassificati al largo delle coste italiane, in strutture che ad oggi non esistono. I tre rigassificatori esistenti hanno infatti una capacità di 15 miliardi di mc all’anno, di cui solo 5 liberi. (Leggi anche: Perché l’Italia rischia una crisi industriale senza il gas russo)

La soluzione individuata dal governo è affidarsi a rigassificatori galleggianti, grosse navi da allacciare alla rete nazionale, che trasformano il contenuto delle metaniere in arrivo dall’altra parte del mondo. Operazione tutt’altro che semplice, sia tecnicamente sia dal punto di vista dell’allacciamento alla rete: non solo queste navi, particolari e molto costose, vanno reperite (ve ne sono pochissime), ma occorre anche trovare il luogo adatto in cui sistemarle. Molti comitati locali ambientalisti sono già in allarme.

Le cose non vanno molto meglio sugli stoccaggi. Le aste indette a marzo sono state un buco nell’acqua, come abbondantemente previsto. Il decreto 138/22 del MiTE dei primi giorni di aprile, seguito dalla delibera ARERA 165/2022, hanno sbloccato la situazione, ma ancora mancano elementi importanti. La situazione di backwardation dei prezzi (prezzi estivi più alti di quelli invernali) rende non conveniente l’utilizzo degli stoccaggi. Per questo MiTE e ARERA stanno escogitando un sistema che incentivi gli operatori, riconoscendo le differenze di prezzo. Il ritardo che si è accumulato è difficile da colmare, calcolando che la legge impone che gli stoccaggi ad inizio inverno debbano essere pieni al 90%. Considerando le riserve strategiche, destinate alle emergenze gravi e concrete, gli stoccaggi italiani sono pieni, al 20 aprile, al 33%, contro il 41% nello stesso giorno del 2021, il 52,2 del 2020 e il 43,6 del 2019. Nel momento peggiore possibile ci troviamo con le scorte più basse degli ultimi anni.

Nel caso di un addio improvviso al gas russo, insomma, per noi saranno dolori. Altro che condizionatori spenti. Contrariamente all’Italia, dove sembra che tutto si possa risolvere con qualche grado di fresco in meno, in Germania c’è molta preoccupazione. Ieri persino la Bundesbank ha diffuso una simulazione da cui emerge che nel caso di un embargo su petrolio e gas, il danno per la sola Germania sarebbe nell’ordine dei 180 miliardi di euro. Nel suo scenario, Bundesbank ipotizza che l’inflazione, oggi già al 7,3%, arriverebbe all’8,8%, aumentando la probabilità di una stagflazione. Il PIL calerebbe del 5%, portando l’economia tedesca in recessione (da un PIL a +3% per il 2022 a –2%). Una ciambella di salvataggio inattesa per Olaf Scholz, il cancelliere tedesco molto criticato per il suo netto no all’embargo energetico alla Russia.

Ma non è tutto. Inaspettate sono giunte da oltre oceano anche le parole della segretaria al Tesoro americana Janet Yellen, che in una conferenza stampa a Washington due giorni fa ha invocato la massima cautela, parlando di embargo energetico europeo: “Questo farebbe aumentare i prezzi mondiali del petrolio ed avrebbe un impatto negativo sull’Europa e altre parti del mondo mentre, al contrario, potrebbe avere un effetto negativo molto ridotto per la Russia, che pur esportando di meno, venderà a prezzi più alti. Se potessimo ridurre le entrate della Russia senza esporre l’intero globo ad un aumento del prezzo dell’energia, sarebbe l’ideale”, ha concluso Yellen. Strano come un condizionatore spento visto da Washington assomigli a una recessione mondiale.

(Estratto di un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità)

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