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Eni

Come sventola Eni fra Italia e Scozia

Ecco progetti e annunci di Eni sull'eolico, non solo in Italia. Descalzi pensa però che l'Europa debba essere più concreta sulla transizione energetica, o per alcune industrie sarà "la morte". Tutti i dettagli

Il Cane a sei zampe zompa anche sull’eolico.

Oggi Eni e Red Rock Power, società scozzese specializzata nello sviluppo di parchi eolici offshore, hanno costituito una partnership in occasione delle prossime aste sull’eolico offshore in Scozia.

LA PARTNERSHIP TRA ENI E RED ROCK

Ciascuna delle due aziende avrà una quota del 50 per cento nella partnership, formata in vista della partecipazione congiunta all’asta ScotWind, in Scozia, sull’eolico offshore. A sostenere Eni e Red Rock nella connessione degli impianti in mare con la rete elettrica sarà Transmission Investment, società che si occupa della trasmissione dell’energia elettrica nel Regno Unito.

Nel comunicato viene anche annunciata la possibilità di futuri accordi tra Eni e Red Rock sulle energie rinnovabili in Scozia e sullo sviluppo di parchi eolici offshore. Questi ultimi, in particolare, punteranno allo “sviluppo di nuove tecnologie” per la decarbonizzazione del mare del Nord e per il trasferimento di competenze verso l’industria delle energie rinnovabili.

LA TRANSIZIONE DEI LAVORATORI

Su quest’ultimo punto, Alessandro Della Zoppa, responsabile del settore rinnovabili in Eni gas e luce, ha dichiarato che “Eni è impegnata in una transizione giusta, che valorizza l’attenzione costante verso le persone e allo stesso tempo coglie le opportunità offerte dalle possibili evoluzioni del mercato energetico”.

L’amministratore delegato di Red Rock, Guy Madgwick, ha detto invece che la collaborazione con Eni “è un’opportunità per contribuire ulteriormente alla transizione della forza lavoro locale verso il settore delle rinnovabili. Come molti altri nel nostro team, vengo da un passato lavorativo nell’oil & gas, e siamo consapevoli delle opportunità formative e delle competenze trasferibili di cui il settore eolico può beneficiare”.

GLI OBIETTIVI DI ENI SULLE RINNOVABILI

Come molte altre grandi compagnie petrolifere, anche Eni sta riorientando il proprio modello di business verso le fonti rinnovabili, coerentemente con il processo di distacco dagli idrocarburi (la cosiddetta “transizione energetica”) in corso nel mondo. L’azienda ha preso l’impegno di arrivare a 60 gigawatt di capacità rinnovabile installata entro il 2050, la data generalmente fissata dai governi per l’azzeramento netto delle emissioni di gas serra generate.

COSA FA ENI SULLE ENERGIE PULITE NEL REGNO UNITO…

Lo scorso dicembre Eni ha acquistato una quota del 20 per cento nel progetto eolico offshore di Dogger Bank, nel Regno Unito: si compone di centonovanta turbine per una potenza complessiva di 2,4 GW; una volta che raggiungerà il pieno regime, quello di Dogger Bank sarà il più grande progetto di eolico offshore al mondo.

Sempre nel Regno Unito, Eni partecipa alla gara indetta dal governo britannico per lo sviluppo di quattro progetti sulla cattura e lo stoccaggio del carbonio – una tecnologia utile alla decarbonizzazione delle industria pesanti e al raggiungimento delle zero emissioni nette – dalla capacità di circa dieci milioni di tonnellate di CO2 entro il 2030. L’iniziativa prevede un finanziamento a fondo perduto per 1 miliardo di sterline.

I quattro progetti sono inseriti nella macro-iniziativa HyNet North West, il cui avvio è previsto nel 2025: prevede la cattura, il trasporto e lo stoccaggio della CO2 emessa dal distretto industriale dell’Inghilterra nord-occidentale ma anche dai futuri impianti per la produzione di idrogeno blu.

Sempre nel Regno Unito, Eni ha raggiunto un memorandum d’intesa con l’Università di Strathclyde (Scozia) per lo sviluppo di un programma professionale che aiuti gli occupati nel settore scozzese dell’oil and gas a trasferire le proprie competenze nell’industria delle rinnovabili.

…E IN ITALIA

In Italia, invece, Eni ha recentemente acquistato tredici parchi eolici a terra dalle società Glennmont Partners e PGGM Infrastructure Fund. La capacità complessiva degli impianti – già in esercizio, tra Sicilia, Puglia, Basilicata e Abruzzo – è di 315 megawatt. Sommando a questi i 35 MW in fase di costruzione in Puglia, Eni arriverà in tutto a 350 MW di capacità eolica installata nel nostro paese.

L’operazione di acquisto, fa sapere la società, “rientra nella più ampia strategia di integrazione tra capacità di generazione elettrica rinnovabile e la base clienti di Eni gas e luce. Il portafoglio in oggetto potrà coprire il fabbisogno di circa 200 mila famiglie italiane in un’ottica di energy management integrato”.

Come riassunto dall’amministratore delegato Claudio Descalzi, Eni intende arrivare a 4 GW di capacità rinnovabile installata nel 2024, che diventeranno 15 GW nel 2030 e, infine, 60 GW nel 2050.

DESCALZI: “PER ENI SAREBBE MEGLIO CHIUDERE TUTTE LE RAFFINERIE” IN EUROPA

Eni sta puntando sulla transizione energetica verso le rinnovabili, ma Descalzi pensa che si tratti di “una storia per ricchi, perché sono i ricchi che emettono di più”.

Nel suo intervento all’evento per i 55 anni dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), il numero uno di Eni ha detto che “l’Europa ha una borsa per far pagare le emissioni, l’ETS. Eravamo a 20-25 euro per tonnellata, abbiamo toccato i 60 euro, arriveremo a 100 euro per tonnellata. Questo sta creando nel sistema industriale, soprattutto per gli energivori, la morte”.

La situazione è tale che, secondo Descalzi, “una raffineria in Europa perde per definizione. Per Eni sarebbe meglio chiudere tutte le raffinerie per non pagare l’ETS e comprare i prodotti dall’estero”.

“Quando gli Stati Uniti, la Cina, l’India applicheranno gli ETS, quando ci sarà un carbon pricing reale, allora si potrà parlare di ambiente, perché il cambiamento deve essere portato avanti con i fatti. È un vero interesse verso le persone: ecco perché i paesi ricchi devono avere regole uguali, quelle che penalizzano chi emette CO2, altrimenti non andremo da nessuna parte”.

“Dalla COP21 di Parigi”, ovvero la conferenza sul clima del 2015 nella quale si negoziò l’accordo di Parigi sulle emissioni, “è aumentata la quantità di CO2 emessa”, dice Descalzi: “eravamo a circa 32 miliardi di tonnellate all’anno; siamo a oltre 33 miliardi. I prezzi del gas e del carbone salgono. C’è qualcosa tra il dire e il fare che non funziona”.

“L’Europa sta dando l’esempio, l’Italia anche”, aggiunge, “ma se siamo gli unici serve a poco. Se l’Europa dovesse scomparire, il mondo perderebbe l’8% delle emissioni. Bisogna analizzare le cose in modo competente e non ideologico, e le tecnologie non devono passare per l’ideologia”.

Oltre all’Unione europea, anche altre economie avanzate come gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Giappone, la Corea del sud, il Canada e la Cina hanno preso l’impegno ad azzerare le rispettive emissioni nette entro il 2050 o il 2060.

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