L’Italia, con il 3 per cento del totale mondiale, è il sesto paese esportatore al mondo di tecnologie per le fonti rinnovabili, come generatori eolici e dispositivi fotovoltaici. Il nostro paese si posiziona dopo la Cina (saldamente al primo posto: nel 2019 valeva il 27 per cento dell’export globale), la Germania (11 per cento), gli Stati Uniti (7 per cento), il Giappone e Hong Kong.
E’ quanto emerge tra l’altro da un rapporto della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, pubblicato questo mese, e intitolato Transizione energetica: la filiera delle tecnologie delle rinnovabili in Italia.
CHE COS’È LA TRANSIZIONE ENERGETICA
Con transizione energetica si intende il processo di distacco dai combustibili fossili (carbone, petrolio, gas) in favore di un maggiore utilizzo delle fonti rinnovabili, come l’eolico e il solare, per la generazione di energia. L’obiettivo è ridurre le emissioni di gas serra nell’atmosfera, fino al loro azzeramento netto: si parla in questo caso di “neutralità carbonica”, che molti governi nel mondo si sono generalmente impegnati a raggiungere entro il 2050. Il 2030 rappresenta di solito una tappa intermedia di questo percorso di decarbonizzazione: l’Unione europea – e di conseguenza l’Italia – vuole tagliare le proprie emissioni di CO2 almeno del 55 per cento entro questa data, rispetto ai livelli del 1990.
I NUMERI DELLA TRANSIZIONE ENERGETICA
Negli ultimi vent’anni si è investito molto nelle installazioni di capacità rinnovabile, anche se – come fa notare lo studio degli analisti di Intesa Sanpaolo – i combustibili fossili rappresentano ancora più dell’80 per cento del consumo energetico finale a livello mondiale.
Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia rinnovabile (IRENA), per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi sul contenimento del riscaldamento globale, sono necessari investimenti annuali in rinnovabili per 800 miliardi di dollari entro il 2050: la media del periodo 2013-2018 è inferiore ai 300 miliardi.
QUANTO VALE IL COMMERCIO DELLE TECNOLOGIE RINNOVABILI
Il commercio delle tecnologie per le fonti di energia rinnovabile (FER) ha rappresentato circa l’1,4 per cento degli scambi. In linee generali, i paesi dell’Asia orientale dominano il settore delle tecnologie FER e sono specializzati nelle componenti per il fotovoltaico, come i dispositivi fotosensibili; i paesi europei, al contrario, sono più forti nelle tecnologie per l’eolico e l’idroelettrico, come i generatori eolici e i moltiplicatori di velocità.
L’ITALIA HA UN SALDO COMMERCIALE POSITIVO DAL 2013
Proprio nei moltiplicatori di velocità emerge la forte specializzazione dell’Italia, che ne è il quarto esportatore al mondo. Dal 2013 il nostro paese ha un saldo commerciale sempre positivo per quanto riguarda le tecnologie FER, nonostante dipenda molto dalle importazioni in alcuni comparti. Negli ultimi cinque anni la media dell’export in valore ammonta a 4,7 miliardi di euro.
Oltre il 17 per cento delle esportazioni italiane di tecnologie FER finisce negli Stati Uniti.
I BREVETTI
I brevetti legati alle tecnologie per le FER si concentrano soprattutto nell’ambito del fotovoltaico (41 per cento), poi dell’eolico (21 per cento), del solare termico (12 per cento) e dei biocarburanti (8 per cento). I membri dell’Unione europea possiedono oltre un terzo dei brevetti sulle FER, in particolare nel settore eolico: in questo comparto l’Unione vale il 62 per cento del totale mondiale.
COME VANNO LE AZIENDE ITALIANE
Al 2018 erano circa 1200 i brevetti italiani collegati alle FER che sono stati depositati presso l’Ufficio europeo dei brevetti (EPO): riguardano soprattutto a tecnologie per il solare (55 per cento tra fotovoltaico e termico) e per l’eolico (16 per cento). Vengono per lo più depositati da imprese di micro o piccole dimensioni, cioè con meno di 10 milioni di fatturato.
Il rapporto di Intesa Sanpaolo individua 400 imprese italiane che producono componentistica per impianti rinnovabili: possiedono un fatturato complessivo di 23 miliardi di euro e contano circa 60mila occupati nel 2019. Un’azienda su quattro dispone di almeno un brevetto.
L’IDROGENO
Il rapporto descrive l’idrogeno come una “una nuova opportunità per il tessuto industriale italiano, in grado di generare una filiera competitiva” in Italia.
Dell’idrogeno – specialmente di quello “verde”, ottenuto utilizzando l’elettricità da fonti rinnovabili e a zero emissioni – si sta parlando molto come di un combustibile pulito per la decarbonizzazione dei processi industriali dall’alto consumo energetico (i cosiddetti settori hard-to-abate, come la siderurgia), ma anche come di una fonte-rifugio per lo stoccaggio di energia rinnovabile che possa compensare l’intermittenza di generazione delle fonti rinnovabili.
Entro il 2030 l’Unione europea vuole installare elettrolizzatori – cioè macchinari per la produzione di idrogeno verde – per almeno 40 gigawatt di capacità, che consentiranno di ottenere 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde.
Esclusi i grandi attori, la Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo segnala circa 120 imprese italiane attive nella filiera dell’idrogeno, per un totale di 7 miliardi di euro di fatturato e 19mila occupati al 2019.
Sono perlopiù aziende di piccole o medie dimensioni (il 40 per cento ha meno di 10 milioni di fatturato), che
operano principalmente nel settore manifatturiero (il 50 per cento) e votate all’innovazione (circa 2600 i brevetti depositati).
Secondo lo studio, esistono sul territorio italiano i “segnali per la creazione di sistemi di produzione e utilizzo locale di idrogeno verde (il corridoio verde del Brennero, il treno della Valle Camonica, l’hub a idrogeno di Marghera, l’idrogeno a eolico di Ravenna) che fanno intravvedere la nascita di nuove opportunità industriali per gli ecosistemi locali”.