Dopo circa otto mesi dalle prime manifestazioni di interesse, la società petrolifera italiana Eni ha annunciato oggi l’acquisto – assieme alla sussidiaria norvegese Vår Energi – dell’azienda britannica Neptune Energy, attiva nel settore dell’oil & gas, per 4,9 miliardi di dollari. Si tratta della più grande transazione economica nell’industria europea degli idrocarburi da quasi un decennio. La chiusura è prevista per la fine di marzo 2024.
Neptune ha sede a Londra e si occupa della produzione di petrolio e gas in otto paesi: Regno Unito, Norvegia, Paesi Bassi, Germania, Algeria, Egitto, Indonesia e Australia.
COSA PREVEDE L’OPERAZIONE
L’accordo prevede che Eni acquisisca la quasi interezza delle attività di Neptune per 2,6 miliardi di dollari. Le uniche eccezioni sono le operazioni in Norvegia, che verranno invece assorbite da Vår (di cui Eni possiede il 63 per cento) a un prezzo di 2,3 miliardi, e quelle in Germania, che non rientrano nell’accordo.
PERCHÉ L’AFFARE ENI-NEPTUNE È IMPORTANTE
Si tratta di una transazione significativa non solo per il valore economico, ma anche perché – come ha fatto notare il Financial Times – da qualche tempo le compagnie petrolifere europee sono generalmente più orientate alla vendita di asset legati ai combustibili fossili anziché al loro acquisto: così facendo, infatti, si liberano delle attività maggiormente inquinanti e finanziano il passaggio alle fonti e alle forme di energia low-carbon, più coerenti con la transizione ecologica.
Non a caso, nel comunicato stampa Eni ha voluto specificare che “la produzione di Neptune è competitiva in termini di costo e ha un basso livello di emissioni”.
Stando alle fonti di Bloomberg, anche la compagnia petrolifera francese TotalEnergies era interessata ad acquisire Neptune.
LA SPIEGAZIONE DI DESCALZI
Intervistato dal Financial Times, l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha aggiunto che buona parte del portafoglio oil & gas di Neptune si trova all’interno o in prossimità del mercato europeo: in questo modo, si riducono le emissioni legate al trasporto degli idrocarburi estratti.
“È chiaro che la tendenza è quella di acquisire energie rinnovabili o altri [progetti] verdi”, ha detto, “ma questo è un accordo in linea con il nostro percorso di transizione”.
Eni ha preso l’impegno a raggiungere la neutralità carbonica (cioè l’azzeramento netto delle sue emissioni di gas serra) entro il 2050, ma non vede il gas naturale in contraddizione con il percorso di transizione ecologica. Secondo l’azienda, infatti, il gas naturale – il combustibile fossile meno emissivo – continuerà a essere consumato parallelamente alla crescita della capacità rinnovabile perché permette di compensare l’intermittenza produttiva degli impianti eolici e fotovoltaici, che dipendono dalle condizioni meteo. Inoltre, il gas potrà sostituire la capacità termoelettrica a petrolio e soprattutto a carbone, molto più inquinante.
Eni vuole che entro il 2030 il gas naturale rappresenti il 60 per cento della sua produzione. Secondo gli analisti sentiti da Reuters, l’affare con Neptune rafforzerà la divisione gas di Eni e ne accrescerà il ruolo di fornitrice per l’Europa in questa fase di sostituzione dei flussi provenienti dalla Russia.
CHI SONO I PROPRIETARI DI NEPTUNE
Il 49 per cento di Neptune è posseduto dal fondo sovrano statale cinese China Investment Corporation; la restante parte è divisa tra i gruppi di private equity Carlyle (30,6 per cento) e CVC Partners (20,4 per cento). È stata fondata nel 2015 da Sam Laidlaw, ex-amministratore delegato della società britannica di servizi energetici Centrica.
La produzione di Neptune ammonta all’incirca a 135.000 barili di petrolio equivalenti; i tre quarti di questo volume sono rappresentati dal gas naturale. Il 10 per cento dell’output proviene dalle acque britanniche.
Bob Maguire, direttore generale di Carlyle, ha detto al Financial Times che dal 2017 (data di acquisto della società dalla francese ENGIE per 3,9 miliardi) gli azionisti di Neptune vi hanno investito oltre 4 miliardi di dollari per allargarne la base operativa, ridurne l’intensità carbonica e sviluppare capacità di cattura e stoccaggio del carbonio (una tecnologia che consente, come da nome, di catturare la CO2 e stoccarla sottoterra oppure sfruttarla per aumentare la produttività del giacimento).
IL RIPENSAMENTO SULL’IPO
L’anno scorso i proprietari di Neptune stavano lavorando a un’offerta pubblica iniziale per la società, ma il progetto è stato accantonato per via dello scarso interesse riscontrato dal mercato, sempre più riluttante a investire nello sfruttamento di idrocarburi.
Stamattina le azioni di Eni – controllata dal ministero dell’Economia, sia direttamente sia attraverso Cassa depositi e prestiti, con il 32,3 per cento – hanno perso l’1,5 per cento.
I CONTI
Nel 2022 Neptune ha riportato un utile netto di 924,4 milioni di dollari da 4,6 miliardi di ricavi, con un indebitamento netto di 1,7 miliardi. Dal 2018 gli azionisti hanno ricevuto dividendi per 2,7 miliardi.
COSA FA NEPTUNE CON LA CATTURA DEL CARBONIO (E COSA FA ENI)
Neptune sta lavorando allo sviluppo di progetti di cattura e sequestro del carbonio nel Regno Unito e nei Paesi Bassi con l’obiettivo di arrivare a stoccare oltre 9 milioni di tonnellate di CO2 all’anno nei propri giacimenti esausti. Se il target dovesse venire raggiunto, la quantità di CO2 sequestrata dall’azienda sarebbe superiore a quella emessa dalle sue operazioni e dall’utilizzo del suo combustibile.
Eni sta lavorando a due progetti sulla cattura del carbonio nel Regno Unito (HyNet North West e Net Zero Teesside) e uno in Italia, a Ravenna.
COSA CAMBIA PER VAR E PER IL GNL
Acquisendo le operazioni norvegesi di Neptune, Vår – che concentra le sue attività nel mare di Barents, a nord della Norvegia – otterrà una quota del 12 per cento di Hammerfest LNG, l’unico grande impianto di gas liquefatto (GNL) in Europa.