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Eni, che cosa cambia su energia e geopolitica con la mossa di Descalzi negli Emirati Arabi Uniti

Tutti i dettagli dell'operazione con il colosso di Stato degli Emirati. I commenti di Descalzi e Conte. I giudizi dei broker. I commenti degli analisti. E le ricadute anche geopolitiche per Eni e l'Italia. L'approfondimento di Michele Arnese

Il gruppo Eni ha firmato un accordo fra i più rilevanti nel settore della raffinazione, del valore di 3,3 miliardi di dollari, per acquisire il 20% di Adnoc Refining, controllata dal colosso di Stato degli Emirati Arabi Uniti.

Si tratta dell’operazione più rilevante mai condotta negli Emirati da un investitore straniero in campo energetico.

Con questa mossa il Cane a sei zampe aumenta del 35% la capacità di raffinazione e rafforza la presenza in un’area strategica per i commerci, sottolinea una nota del gruppo capitanato dall’amministratore delegato Claudio Descalzi.

I DETTAGLI DELL’ACCORDO

I termini dell’accordo prevedono il pagamento in contanti di 3,3 miliardi di dollari (al netto del debito netto), cifra che corrisponde a un valore di impresa (enterprise value) pari a 3,9 miliardi di dollari (quota Eni).

LE CARATTERISTICHE DELL’INTESA

“La posizione geografica della società le permette di rifornire i mercati di Africa, Asia ed Europa grazie a tre raffinerie, situate nelle aree di Ruwais (Ruwais East e Ruwais West) e Abu Dhabi (Abu Dhabi Refinery). Il complesso di raffinazione è il quarto a livello mondiale”, si legge in una nota dell’Eni.

GLI ASPETTI TECNOLOGICI

Eni contribuirà allo sviluppo tecnologico degli impianti, “avendo già maturato, nelle proprie raffinerie europee, un’ampia esperienza nella gestione dei processi utilizzati da Adnoc Refining (quali quelli relativi al cracking catalitico a letto fluido, all’hydrocracking, alla conversione e desolforazione dei residui, al cocking e altri) e nelle azioni di ottimizzazione volte a massimizzare il margine dei barili raffinati”, aggiunge il gruppo italiano.

LE PAROLE DI DESCALZI

Descalzi ha spiegato che “l’operazione ci consente di entrare nel settore downstream degli Emirati Arabi Uniti e rappresenta per Eni un incremento del 35% della propria capacità di raffinazione: è in linea con la nostra strategia di rendere il portafoglio maggiormente diversificato dal punto di vista geografico, più bilanciato lungo la catena del valore, più efficiente e più resiliente rispetto alla volatilità del mercato”.

IL COMMENTO DI CONTE

Per il premier Giuseppe Conte “è un grande risultato frutto delle elevate competenze sviluppate da una nostra azienda partecipata, Eni , che sta contribuendo ad affermare nel mondo l’eccellenza italiana in campo energetico, con attenzione particolare a tutti i processi che riducono la componente carbonica”. Sorge una domanda: l’eccellenza dell’Eni va bene all’estero ma non in Italia, visto lo stop alla ricerca e all’esplorazione decretato dal governo?

IL GIUDIZIO DEGLI ANALISTI

Oggi gli analisti di Rbc Capital Markets notano che questo accordo segue l’annuncio di Eni all’inizio del 2018 quando acquisì il 10% delle concessioni Umm Shaif e Nasr di Adnoc, oltre al 5% di Lower Zakum (in totale l’accordo upstream ha consentito a Eni l’accesso a circa 70 mila barili al giorno di capacità produttiva netta).

Da allora Eni è stata anche attiva nell’acquisizione di superfici di suolo da esplorare. L’acquisizione nel segmento downstream contribuisce ad accrescere la presenza nel Paese, migliorando al tempo stesso la qualità del business di Eni. Complessivamente, la capacità di raffinazione netta del gruppo italiano passa da 550 mila 730 mila barili al giorno.

LE STIME SUGLI INVESTIMENTI

Gli analisti stimano che i piani di investimento per la raffineria di Adnoc sono compresi nell’intervallo fra 1 e 2 miliardi di dollari l’anno, ed Eni si aspetta un dividendo modesto pagato dalla società.

Prendendo il punto centrale del piano di investimento in conto capitale e ipotizzando che nel 2020 verrà girato un dividendo non alto, Rbc stima che l’interesse di Eni nel 20% dell’asset potrebbe generare fra 300 e 400 milioni di cash flow from operations (flusso di cassa da operazioni) l’anno (che non sarà consolidato), scrive Mf/Milano Finanza.

IL REPORT DI MEDIOBANCA

Mediobanca Securities ricorda che l’operazione consentirà al gruppo di raggiungere i suoi concorrenti in termini di dimensioni e diversificazione delle attività di downstream, con una capacità di trasmissione downstream che dovrebbe aumentare del 35%, a 700 mila barili al giorno: “Questo aumenterà la capacità di coprire in modo naturale la sua produzione a monte (2 milioni di barili al giorno)”.

OPPORTUNITA’ E OBIETTIVI DELL’OPERAZIONE

Gli analisti dell’istituto di Piazzetta Cuccia ritengono inoltre che Eni possa permettersi questa acquisizione, data la forte generazione di cash flow del gruppo e le potenziali nuove dismissioni di asset in Messico. Il rapporto debito netto/equity del gruppo dovrebbe attestarsi al 13% (calcolo sui dati di fine 2018).

IL DOSSIER LIBIA

Comunque, nota anche Mediobanca Securities, con l’operazione negli Emirati Eni diventerà sempre più un gruppo più equilibrato (magari meno esposto in Africa) e più resistente alle forti correzioni nel prezzo del petrolio. Non è casuale il riferimento alla Libia: gli Emirati infatti, con Egitto e Russia, appoggiano in Libia il generale Haftar, numero uno in Cirenaica, in competizione con il governo tripolino voluto dall’Onu e presieduto dal premier Al-Serraj, ma ben poco stabile e accettato da tutto il Paese.

IL RUOLO DELL’EGITTO

Il nuovo corso dell’Eni nella Penisola arabica è stato anche favorito, come sottolinea oggi il Corriere della Sera, dalla scoperta e dallo sviluppo del giacimento egiziano di Zohr: “Condividendolo con gli inglesi di Bp, i russi di Rosneft e gli emiratini di Mubadala, l’Eni ha potuto gettare le basi anche per gli sviluppi di oggi”.

L’ANALISI DI CINZIA BIANCO

Ma qual è la vera opportunità per l’Italia con gli ultimi accordi di Eni? Ha risposto giorni fa a Start Magazine Cinzia Bianco, analista esperta di Paesi del Golfo Persico che collabora con il Middle East Institute, il Middle East Policy Council e la rivista Limes, oltre ad essere consulente della società americana Gulf State Analytics: “Dal punto di vista geopolitico, il pivot di Eni nella Penisola Arabica offre all’Italia l’opportunità di ribilanciare la sua posizione tradizionalmente fortemente pro-Iran, tra le due sponde del Golfo Persico. Se l’Italia riuscisse a ritagliarsi una posizione bilanciata sarebbe tra i pochissimi paesi occidentali ad essere in grado di comunicare in modo efficace con tutti gli attori dell’area, coinvolti in molteplici scontri e conflitti che vanno ad aggravare guerre locali dalla Siria, all’Iraq, allo Yemen. Insomma c’è la possibilità, sebbene nel lungo termine, di rafforzare l’influenza italiana ed europea nell’area e magari, in futuro, giocare un ruolo importante, e costruttivo”.

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