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Turchia Siria

Come si gasa la Turchia tra Egitto e Israele

Che cosa succede su energia e non solo tra Turchia, Egitto e Israele. L'approfondimento di Michele Scarpa

 

Una politica internazionale fluida, una Turchia in cerca di amici in una parte di mondo dalle mille sfaccettature che non sembra avere pace. Alla vigilia dell’incontro turco greco pare che Ankara voglia capire con quali attori della partita energetica del Mediterraneo orientale riesca a giocare.

Se con la Grecia i rapporti sono tesi praticamente da sempre, anzi le tensioni non fanno che aumentare a causa delle dispute sulle acque dell’Egeo, Egitto e Israele sembrano possibili interlocutori.

Dal lato egiziano l’apertura sembra fragile. Nonostante le recenti dichiarazioni d’intenti di Çavuşoğlu, fonti giornalistiche egiziane indicano che il Cairo pone delle condizioni difficilmente accettabili per la Turchia come contropartita riguardo la normalizzazione dei rapporti diplomatici e sulla demarcazione dei confini marittimi.

Il quotidiano egiziano al Watan (vicino al governo) parla di una richiesta egiziana di ritiro delle truppe turche dalla Libia, dal nord della Siria e non intervento in Iraq, più il riconoscimento del diritto internazionale marittimo e il contrasto alla propaganda dei fratelli musulmani. Se trovassero riscontro tali indiscrezioni la richiesta sarebbe decisamente inaccettabile per la Turchia e salterebbe ogni tavolo negoziale con l’Egitto.

L’altro Paese con cui la Turchia prova ad instaurare una relazione amichevole è Israele. Anche Tel Aviv, dopo anni di tensione, si dice pronta a cooperare con la Turchia sulla questione del gas nel Mediterraneo Orientale. È quanto emerge dal discorso di mercoledì 10 marzo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu al partito Likud, durante un evento elettorale a Bat Yam (nel centro di Israele).

“Sì, siamo in contatto con la Turchia. Questa è una buona notizia”, ha affermato il premier israeliano, sostenendo anche che Tel Aviv è in contatto con i diversi Paesi coinvolti nella partita energetica mediterranea.

Le frasi di Netanyahu non sono casuali poiché giungono in un periodo delicato per Israele che si accinge ad andare al voto, il 23 marzo, nel mezzo della pandemia, in un’accesa competizione tra i partiti politici ed in un Paese con una popolazione molto attenta alla politica estera.

Ad anticipare la notizia del disgelo diplomatico con il vicino turco è stato il ministro dell’Energia, Yuval Steinitz, che il 9 marzo durante una visita a Cipro, ha parlato alla stampa dell’intenzione di Tel Aviv di cooperare con Ankara. Israele precedentemente aveva già avuto contatti con la Turchia per cooperare sul gas mediterraneo, anche se senza successo. Ora sembra che la situazione sia ad un punto di svolta. Steinitz si è spinto fino ad augurarsi la partecipazione di Ankara al Forum del Mediterraneo Orientale (creato nel 2019 e che riunisce: Egitto, Cipro, Grecia, Israele, Giordania, Palestina e Italia).

Finora siamo ancora nel campo delle dichiarazioni.

Quella tra Israele e Turchia era una relazione strategica per tutto il Medio Oriente almeno fino al 2008, quando Israele diede avvio all’operazione Piombo Fuso nella Striscia di Gaza. Da lì in poi un susseguirsi di tensioni che sono culminate nel 2010 con il caso della Mavi Marmara, una delle sei navi della Freedom flotilla che provarono a forzare il blocco israeliano sulle acque di Gaza imposto dal 2007. L’equipaggio della nave al momento dell’abbordaggio delle forze israeliane reagì, morirono nove marinai, di cui otto turchi, e rimasero feriti alcuni militari israeliani.

Alle accuse reciproche tra i due Stati su colpe e motivazioni dell’assalto seguì il peggioramento diplomatico.

Da un lato Erdoğan era in fase ascendente e voleva porre la Turchia come modello per un nuovo Islam politico nell’area (cavalcando anche la causa palestinese), dall’altro Israele continuava la politica della linea dura contro Hamas nella Striscia.

Da quel momento i rapporti tra i due Paesi hanno attraversato alti e bassi fino ad oggi quando i due hanno avuto la necessità di aprire un dialogo costruttivo sulla complessa partita energetica del Mediterraneo orientale.

In queste acque sono stati scoperti imponenti giacimenti di gas (per un totale di 2100 miliardi di m³) divisi principalmente tra Egitto, Israele e Cipro. La Turchia vuole entrare in questa partita energetica sia cercando di impedire la costruzione del gasdotto EastMed (che trasporterebbe il gas direttamente in Italia) sia cercando di far riconoscere la sovranità Cipro Nord e delle sue acque territoriali (Cipro nord fu occupata da Ankara nel 1974, dichiaratasi repubblica indipendente è riconosciuta solo dalla Turchia).

Israele nelle proprie acque ha rinvenuto due grandi giacimenti: Tamar (318 mld m³) e Leviathan (450 mld m³), più altri tre minori (tra cui Yishai confinante con il giacimento cipriota Afrodite). Con questi quantitativi di gas Tel Aviv non solo riuscirebbe a soddisfare il proprio fabbisogno energetico ma potrebbe anche esportarlo. Per questo l’interesse per la Turchia che, oltre ad essere un Paese bisognoso di energia, ha anche la struttura Tanap – Tap utile al trasporto del gas in Europa.

Se dovesse fallire questo tentativo di collaborazione, Israele ha comunque una strategia di ripiego. Lo Stato ebraico per bocca del ministro dell’Energia, Steinitz, ha annunciato di sostenere anche il progetto del gasdotto EastMed, che nella visione israeliana collegherebbe Grecia ed Italia. Inoltre Israele ha rinsaldato anche commercialmente i legami con Grecia e Cipro, un esempio sono state collegate le rispettive reti elettriche. Inoltre con Nicosia ha raggiunto un accordo per sanare un contenzioso che durava da nove anni: il confine del giacimento di gas israeliano di Yishai coincidente con il confine del giacimento di gas Afrodite.

In quest’area non si porta avanti solo diplomazia del disgelo, ma anche dimostrazioni muscolari. Da una parte Tel Aviv dialoga con la Turchia, dall’altra continua le esercitazioni navali con la Grecia.

Ultima nel tempo è la partecipazione della marina israeliana dell’esercitazione navale “Noble Dina”, manovre che hanno visto impegnate navi grigie di Israele, Grecia, Francia e Cipro.

La Turchia alla disperata ricerca di spazi di manovra, tra diplomazia e pressioni militari (come nel caso della nave esploratrice Oruc Reis), sembra all’angolo. Le aperture israeliane infatti non significano un’alleanza politica stabile ma forse nulla più un’intesa commerciale. Anche con l’Egitto sono più tavoli dove i due Paesi sono contrapposti più delle aree di possibile cooperazione. Per quanto riguarda Grecia e Cipro i margini d’azione sono veramente ridotti a causa delle rivendicazioni turche sulle isole dell’Egeo (vediamo i risultati di questi due giorni di colloqui) e di inimicizie storiche mai sopite. Il Mediterraneo orientale ribolle: all’orizzonte uno tsunami geopolitico nel Mediterraneo sopra un “mare” di gas?

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