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Egitto Cipro

Che cosa cambierà sul gas (e non solo) con la normalizzazione dei rapporti Egitto-Turchia

Turchia ed Egitto stanno cercando dopo molti anni di gelo di normalizzare i rapporti diplomatici. Fatti, approfondimenti e scenari. Il punto di Michele Scarpa

 

Dove non è arrivato Allah potrebbe arrivare il gas.

È proprio di questi giorni la notizia che Turchia ed Egitto stanno cercando dopo molti anni di gelo di normalizzare i loro rapporti diplomatici.

Almeno questo fanno pensare le recenti dichiarazioni del ministro degli Esteri, Mevlüt Çavuşoğlu; “I negoziati si svolgono e continuano seguendo una road-map” prudente ma definita.

Annuncio atteso dopo i numerosi segnali di apertura della Turchia verso l’Egitto, soprattutto riguardo alla spinosa questione dei confini marittimi nel Mediterraneo orientale.

Nel settembre 2011 l’allora «Eroe d’Egitto», così titolava la stampa egiziana per la visita del premier turco, Recep Tayyip Erdogan, arrivava al Cairo, prima tappa di un tour che ha toccato Tunisia e Libia. Voleva cavalcare il moto delle primavere arabe nel tentativo, poi fallito, di ergersi a modello di riferimento per il mondo islamico in cerca di un nuovo assetto politico.

Erdogan ci riprovò nel 2012. Fu lo sponsor della salita al potere del presidente Mohammed Morsi, esponente della Fratellanza musulmana allora legata al partito AKP del presidente turco. Intravedeva la possibilità di diventare il partner forte nella relazione turco-egiziana cercando di sfruttare i valori religiosi condivisi.

Il sogno di una fratellanza islamica all’ombra di una Turchia neo ottomana finì nel 2013, quando in Egitto un colpo di Stato militare rovesciò il governo in carica del presidente Morsi. Erdogan espresse più volte il suo sostegno al governo deposto cercando di delegittimare a livello internazionale l’autorità dei militari golpisti. Fu tale la sua pressione e così virulente le sue prese di posizione da far sì che il Cairo dichiarò “persona non grata” l’ambasciatore turco. A questa espulsione seguì la ritorsione di Ankara con l’allontanamento dell’ambasciatore egiziano. Da allora si interruppero i rapporti diplomatici tra i due Paesi. Situazione da muro contro muro che ha portato il terreno di scontro in tutte le zone di crisi dell’area.

Le principali partite che hanno visto contrapporsi i due Stati sono quella libica e quella energetica. In Libia i due Paesi sono venuti ai ferri corti in quanto rispettivamente alleati dei due contendenti: la Turchia con il governo internazionalmente riconosciuto di Tripoli mentre gli egiziani a sostegno di Bengasi. Nelle sabbie libiche l’ingerenza turca ha fatto salire la tensione a tal punto da far minacciare all’Egitto l’entrata manu militari in Cirenaica in caso di un evolvere del conflitto eccessivamente a favore del governo tripolino.

Il maggior fronte di tensione tra i due Paesi, fronte che coinvolge anche l’Italia, è l’area del Mediterraneo orientale, dove sono stati rinvenuti, anche grazie ai sondaggi dell’Eni, grandi giacimenti di gas per un totale di circa 2100 miliardi di m³. Il gruppo italiano ha scoperto il giacimento offshore in acque egiziane Zohr da 850 mld di m³ di gas e ha numerose licenze che la vedono parte attiva nelle acque cipriote. Ed è proprio Cipro il motivo del contendere turco.

La partita del gas del Mediterraneo orientale è tanto importante quanto complessa, infatti tali giacimenti sono condivisi tra Israele, Cipro ed Egitto. Questi da Paesi energivori grazie a tali scoperte diverrebbero addirittura nazioni esportatrici di energia.

Nel 2019 l’Egitto insieme a Cipro, Grecia, Israele, Giordania, Palestina e Italia ha dato origine al Forum del Mediterraneo Orientale, il fine è quello di coordinare le politiche energetiche nell’area (in particolare infrastrutture e prezzi). La Turchia si è trovata esclusa da una partita energetica fondamentale. Ha provato a rientrarci con differenti escamotage giuridici ad esempio l’accordo sulla zona economica esclusiva con la Libia e la difesa delle acque di Cipro Nord (zona occupata da Ankara nel 1974 dichiaratasi repubblica indipendente riconosciuta solo dalla Turchia).

Gli obiettivi della Turchia nell’area sono quindi tre: bloccare l’EastMed (gasdotto che collegherebbe il gas mediterraneo direttamente all’Italia) rafforzando il rapporto con la Libia, anche attraverso l’invio di truppe in questo Paese.

Ostacolare le esplorazioni straniere nelle acque mediterranee, come nel caso della nave italiana di Saipem 12000 che doveva di condurre delle esplorazioni al largo di Cipro.

Perseguire la Mavi Matan o Patria Blu, ossia la nuova visione strategica della Turchia per diventare potenza marittima nel Mediterraneo.

Da parte sua l’Egitto ha invece reagito accordandosi con la Grecia sulla demarcazione dei confini marittimi nel Mediterraneo orientale e rinsaldando le relazioni con la Francia (che ha grossi interessi energetici e industriali nell’area e che ha assunto una politica particolarmente avversa alla Turchia).

Questa ingarbugliata situazione sembra ora ad una svolta: la riapertura del dialogo tra i due Paesi può aprire inaspettati scenari nelle aree conflittuali della regione.

Le parole di Çavuşoğlu (“Abbiamo avuto contatti sia a livello di intelligence che di ministero degli Esteri. I contatti a livello diplomatico sono cominciati”) fanno capire che gli interessi derivanti dal gas avrebbero più efficacia di quella visione avuta tanti anni fa da Erdogan del mondo arabo e islamico che li aveva divisi.

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