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Cina

Usa e Ue rischiano grosso con la Cina sull’industria green. Report Le Monde

La Cina continua a produrre e ad esportare tecnologie per la transizione energetica a prezzi stracciati. Nonostante gli annunci, l'Occidente è ancora dipendente da Pechino. L'articolo di Le Monde.

Di fronte al rischio del cambiamento climatico e dell’innalzamento del livello del mare, i Paesi devono adattarsi e costruire dighe su tutti i lati per prevenire le inondazioni. Lo stesso vale per lo tsunami industriale proveniente dalla Cina. Le prime ondate di auto elettriche cinesi nei porti europei sono solo le prime increspature. Con la persistente debolezza dell’economia cinese, la produzione del Paese, in particolare nelle tecnologie di transizione energetica, si sta riversando sul mercato delle esportazioni.

L’IMPATTO SULLE CASE AUTOMOBILISTICHE EUROPEE

Le case automobilistiche e i fornitori di apparecchiature del Vecchio Continente ne pagano le conseguenze e iniziano a stringere le viti. Lunedì 19 febbraio, il produttore di apparecchiature Forevia ha annunciato che ridurrà la sua forza lavoro globale di diecimila unità da qui al 2028 per diventare più competitivo in Europa. L’azienda è nella posizione ideale per valutare la portata dell’ondata che si sta formando, poiché lavora attivamente per i principali produttori cinesi. Può anche vedere che i suoi concorrenti in Cina si stanno preparando ad espandersi oltre i loro confini.

LA CINA RIVERSA IL SURPLUS PRODUTTIVO IN OCCIDENTE

Da tre mesi a questa parte, in Occidente cresce la preoccupazione per l’accelerazione degli investimenti nell’industria manifatturiera cinese e per l’eccesso di capacità produttiva che si sta accumulando. La produzione di pannelli solari in Cina supera già le dimensioni del mercato globale, secondo le stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia. La spesa in conto capitale per le automobili è aumentata del 18% nel 2023. Dal momento che i consumi nel Paese non riprendono, tutte queste eccedenze vengono esportate a prezzi stracciati.

VENTI DI GUERRA COMMERCIALE

I campanelli d’allarme suonano a Washington, Bruxelles, Berlino e Parigi. Il Financial Times racconta che una delegazione americana guidata da Jay Shambaugh, sottosegretario agli Affari internazionali, si è recata a Pechino all’inizio di febbraio per avvertire le autorità del rischio di ritorsioni da parte del suo Paese e degli europei.

Ma il ministro dell’Economia cinese, He Lifeng, non ha avuto problemi a ricordare che erano state le misure americane adottate nell’ambito dell’Inflation Reduction Act, gli aiuti all’industria, a innescare la polveriera. E l’indagine avviata da Bruxelles sui sussidi cinesi ai veicoli elettrici. Stiamo entrando nelle acque tumultuose della guerra commerciale.

L’Europa e gli Stati Uniti, nella loro ossessione per la reindustrializzazione e il decoupling, stanno valutando la loro dipendenza dall’economia interna cinese. È stata la vigorosa ripresa della Cina a far uscire il mondo dalla crisi finanziaria del 2008-2009. Ma questa volta Pechino non vuole imbarcarsi in costose opere edilizie o sostenere i consumi dei suoi 1,4 miliardi di abitanti. Priorità all’industria. A scapito della nostra.

(Estratto dalla rassegna stampa  di eprcomunicazione)

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