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Biden

Perché Chevron attacca Biden sui prezzi dell’energia

Il capo della società petrolifera Chevron ha attaccato Biden per la politica energetica: la sospensione delle licenze di esportazione del Gnl, in particolare, sta compromettendo la sicurezza dei paesi alleati. Tutti i dettagli

L’amministratore delegato della compagnia petrolifera Chevron, Michael Wirth, ha accusato l’amministrazione di Joe Biden di aver demonizzato il gas naturale, provocando un aumento dei prezzi dell’energia e compromettendo la sicurezza dei paesi alleati degli Stati Uniti.

IL CAPO DI CHEVRON ATTACCA L’AMMINISTRAZIONE BIDEN

Intervenuto alla conferenza Gastech di Houston, in Texas, Wirth ha criticato la decisione di Biden di sospendere i nuovi permessi di esportazione di gas liquefatto per ragioni climatiche; una decisione che, secondo il capo di Chevron, mette “la politica davanti al progresso” e che danneggerà gli stessi sforzi per il clima.

Il gas naturale rilascia CO2 quando viene bruciato, ma è il meno emissivo tra i combustibili fossili. Il suo impatto climatico, però, è legato anche alla fonte energetica che sostituisce: se cioè il gas permette di rimpiazzare il carbone nella generazione elettrica, ad esempio, garantirà una riduzione delle emissioni; se invece dovesse venire utilizzato al posto di impianti rinnovabili o nucleari, avrebbe un impatto negativo sul clima.

Wirth ha spiegato che la sospensione delle licenze di export del gas liquefatto “fa aumentare i costi dell’energia togliendo dal mercato potenziali forniture”. Inoltre, metterebbe in dubbio la certezza degli approvvigionamenti nel lungo periodo, “minando la sicurezza energetica dei nostri alleati. E rallenta la transizione dal carbone al gas naturale, il che significa più emissioni e non meno”.

“Se si tratta di promuovere la prosperità economica, la sicurezza energetica e la protezione dell’ambiente, una pausa alle licenze sul Gnl fallisce su tutti e tre i fronti”, ha aggiunto.

Gli Stati Uniti sono i maggiori esportatori di gas liquefatto al mondo, avendo superato l’Australia, e i primi produttori di petrolio. Chevron è la seconda più grande compagnia petrolifera americana per output.

GAS E PETROLIO NELLA CAMPAGNA ELETTORALE PER LE PRESIDENZIALI

Le parole di Wirth si inseriscono nella campagna elettorale per il voto di novembre, dato che il blocco alle nuove esportazioni di Gnl è un tema molto dibattuto in Pennsylvania, uno swing state (cioè uno stato dove non c’è una netta maggioranza di votanti del Partito democratico o di quello repubblicano) che produce da solo circa il 20 per cento del gas statunitense e che è rilevantissimo alle elezioni.

Donald Trump sostiene che la politica energetica dell’amministrazione Biden, incentrata sulla transizione ecologica, abbia provocato un aumento dei prezzi dei carburanti; ha quindi promesso che, se verrà eletto, farà scendere del 50 per cento i prezzi dell’energia grazie all’aumento della produzione di idrocarburi. La Casa Bianca, però, ha una capacità limitata di influenzare l’industria oil & gas, che deve piuttosto rispondere agli investitori, e in questo periodo le aziende petrolifere si stanno concentrando sulla distribuzione dei dividendi agli azionisti piuttosto che sulle spese per nuove trivellazioni.

Trump ha accusato la candidata del Partito democratico, Kamala Harris, di voler bloccare l’industria petrolifera per promuovere i “mulini a vento” e i pannelli solari. In passato Harris era favorevole a vietare il fracking, ossia il procedimento per l’estrazione di greggio e gas dalle rocce di scisto, ma ha abbandonato da tempo questa posizione. Sotto l’amministrazione Biden la produzione di petrolio degli Stati Uniti ha raggiunto un massimo storico, tuttavia – come detto – il ruolo del governo federale è poco rilevante anche in questo caso.

“FERMARE GLI ATTACCHI AL GAS NATURALE”

“Invece di imporre una moratoria sulle esportazioni di Gnl”, ha dichiarato l’amministratore di Chevron, “l’amministrazione dovrebbe fermare gli attacchi al gas naturale”.

La sospensione delle licenze non riguarda le autorizzazioni già concesse né quelle per i progetti che entreranno in funzione nel 2025 (e per alcuni che lo faranno nel 2027), bensì le proposte in attesa di valutazione relative a una serie di grandi terminali pianificati per il futuro. La pausa resterà in vigore fino a quando il dipartimento dell’Energia non avrà terminato le analisi sull’impatto economico e climatico di queste esportazioni.

A luglio un tribunale federale ha annullato la moratoria, ma da allora non sono comunque stati rilasciati nuovi permessi di esportazione.

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