L’amministrazione del presidente Joe Biden ha annunciato venerdì la sospensione delle nuove licenze di esportazione di gas liquefatto (GNL) per ragioni climatiche. La decisione potrebbe avere l’effetto di bloccare – “per mesi, se non di più”, scriveva Bloomberg , che aveva anticipato la notizia – tutta una serie di grandi progetti pianificati. L’Europa e l’Asia, grandi importatrici del combustibile, potrebbero risentirne.
LE DICHIARAZIONI DI BIDEN
In un comunicato, Biden ha dichiarato che la sua amministrazione esaminerà “con attenzione l’impatto delle esportazioni di GNL sui costi energetici, sulla sicurezza energetica dell’America e sul nostro ambiente”. “Questa pausa alle approvazioni di nuovi [progetti di] GNL vede la crisi climatica per quello che è: la minaccia esistenziale del nostro tempo”, ha aggiunto.
Il gas naturale è infatti un combustibile fossile, e il suo utilizzo rilascia dunque CO2; tuttavia, è meno emissivo del carbone e può rimpiazzarlo con relativa facilità.
IL GAS AMERICANO TRA GEOPOLITICA, ECONOMIA E CLIMA
Ci sono questioni politiche, economiche e ambientali – spesso contrastanti – legate alle esportazioni americane di gas liquefatto. Gli Stati Uniti sono infatti i maggiori esportatori al mondo di GNL: un’industria dal valore di decine di miliardi di dollari che, tra le altre cose, ha permesso ai Paesi europei di sostituire con maggiore facilità il gas importato dalla Russia.
Gli attivisti climatici appoggiano la misura della Casa Bianca perché ritengono che le esportazioni di GNL incentivino l’utilizzo di combustibili fossili nel mondo, penalizzando le installazioni di energia pulita e aggravando il riscaldamento globale.
I rappresentanti dell’industria gasifera americana, invece, al di là della difesa dei loro interessi economici, pensano che restringere le capacità di esportazione degli Stati Uniti abbia tre conseguenze negative: lo sconvolgimento dei mercati globali del gas, che potrebbe portare a prezzi del gas più elevati e quindi incentivare il consumo di carbone nei paesi a basso reddito; l’indebolimento degli alleati europei, che negli ultimi anni hanno aumentato parecchio gli acquisti di GNL statunitense; il danneggiamento della potenza politica americana a vantaggio di quegli esportatori energetici esterni al blocco occidentale, come il Qatar.
COSA CAMBIA
Nel concreto, il nuovo approccio regolatorio dell’amministrazione Biden consiste in una sospensione delle licenze di esportazione fintantoché il governo – il dipartimento dell’Energia, nello specifico – non avrà terminato le valutazioni dell’impatto climatico di queste spedizioni: ci vorranno mesi, pare.
La revisione normativa, comunque, non riguarderà le autorizzazioni già concesse e dunque non intaccherà lo status dell’America come maggiore esportatrice di gas liquefatto. Stando agli analisti di Goldman Sachs, infatti, tutti i terminali americani di esportazione di GNL che si prevede entreranno in funzione entro il 2025 – più altri due che lo faranno entro il 2027 – già dispongono di tutti i permessi necessari.
Tuttavia, Bloomberg fa notare come la sospensione delle licenze si ripercuota su oltre una decina di proposte in attesa di valutazione presso il dipartimento dell’Energia, inclusi i progetti di Commonwealth LNG, Sempra Infrastructure ed Energy Transfer. Nulla dovrebbe cambiare, invece, sul grande progetto di Venture Global in Louisiana, contestatissimo dagli ambientali, perché il suo iter autorizzativo passa per un’agenzia indipendente, la FERC: se verrà approvato, comunque, Calcasieu Pass 2 sarà il più grande terminale per l’esportazione di GNL del paese.
L’ultima revisione governativa dei progetti di esportazione di GNL risale al 2018, quando la capacità di export ammontava a 4 miliardi di piedi cubi al giorno; oggi quella capacità è triplicata.
Gli Stati Uniti sono anche i primi produttori di petrolio al mondo, con un output di 13,3 milioni di barili al giorno: come ha scritto Quartz di recente, l’America sta producendo più greggio di qualsiasi altro paese nella storia.