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Che cosa ha deciso l’Opec. Tutti gli effetti sul petrolio

L’Opec che riunisce 12 paesi, tra cui Arabia Saudita, Kuwait, Venezuela, Emirati Arabi Uniti e Iran, insieme alla Russia hanno raggiunto un accordo per un taglio della produzione di 500mila barili al giorno. Subito il prezzo del greggio è salito. Il Punto di Nunzio Ingiusto

Bisogna avere una buona dose di ottimismo per credere sul serio che i consumi di petrolio caleranno. Ottimismo diffuso a piene mani da agenzie, governi e movimenti in questo 2019, ricordato come anno di Greta e delle mobilitazioni di Fridays for future. Il combustibile che ha fatto grande Stati e popoli non sta perdendo per niente terreno, nonostante gli annunci green dei potenti di turno. Quelli che a Madrid in questi giorni discutono, all’incontrario, di come salvare il pianeta. Soltanto Donald Trump ha avuto il coraggio di non eccitare gli americani sul futuro ambientale del Paese, che poi assieme alla Cina inquina il globo per un quarto con le emissioni di Co2. Le elezioni presidenziali ci diranno se e quanto Trump abbia avuto ragione e quanto la sua allergia per i vertici sull’ambiente siano condivisi dagli americani.

Il petrolio tira. L’Opec che riunisce 12 paesi, tra cui Arabia Saudita, Kuwait, Venezuela, Emirati Arabi Uniti e Iran, insieme alla Russia hanno raggiunto un accordo per un taglio della produzione di 500mila barili al giorno. Subito il prezzo del petrolio è salito. Per la Russia si tratta di una riduzione di 70mila barili al giorno, scrive l’Ansa. Lo sguardo è, però, rivolto all’accordo tra produttori che scade a marzo 2020.

Senza troppi giri di parole, il responsabile del settore petrolifero dell’International Energy Agency (IEA), Neil Atkinson, è andato a Londra per dire che è molto improbabile che l’Opec accetti di cambiare l’ accordo. Atkinson e l’IEA stimano che la produzione resterà invariata, almeno fino a quando le prospettive di mercato non diventeranno più chiare. In sostanza ridurre l’offerta dell’1% rispetto alla domanda mondiale. Ma i prezzi in realtà non inducono a contrarre le estrazioni, per cui i Paesi produttori pensano di rinviare l’accordo oltre marzo.

Se così sarà, la prima considerazione è che il consumo di greggio resta “indipendente” dalle rinnovabili. I Paesi importatori tengono su il mercato, nello stesso periodo in cui approcciano l’uso delle fonti non inquinanti. Una contraddizione solo apparente perché pur volendo consumare meno fonti fossili, hanno ancora grande necessità delle fonti tradizionali, come si vede anche per l’Italia che importa l’80% del proprio fabbisogno. Atkinson ha chiarito che l’Opec fa le proprie scelte in autonomia. L’IEA non entra nel merito e quelle esposte a Londra sono soltanto valutazioni, non raccomandazioni politiche. Ma le previsioni dell’Agenzia sono sempre molto attendibili.

Per giunta alla conferenza sul clima di Madrid è stato detto che il 2019 si chiude con le emissioni di Co2 in aumento dello 0,6%. Greta si è intristita. Il cuore del problema restano i consumi di petrolio (e gas) e la necessità per gran parte dei Paesi sviluppati di disporre di fonti tradizionali, importate, per sostenere le economie nazionali. Le svolte green e di sostenibilità ambientale piacciono anche a noi che aspiriamo ad avere città più salubri e senza smog.

Purtroppo il mondo industrializzato è più lento dei nostri desideri. Pragmatismo: si può ancora dire?

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