skip to Main Content

Gas Egitto

Che cosa è successo alla pipeline che trasporta il gas israeliano in Egitto?

È giallo su un presunto attacco jihadista contro la pipeline Israele-Egitto. Tutti i dettagli nell'articolo di Marco Orioles

 

Nonostante sia passato ormai più di due giorni, è ancora avvolto nell’incertezza l’incidente che si sarebbe verificato nei pressi di Bir al-Abd, nel Sinai, alla pipeline che trasporta il gas israeliano in Egitto.

Mantenendo l’anonimato, fonti della sicurezza egiziana hanno riferito ieri al quotidiano israeliano Hareetz di un attacco all’infrastruttura compiuto da sei militanti mascherati che avrebbero piazzato delle cariche esplosive sotto la pipeline, causando un’esplosione che, sempre secondo queste fonti, avrebbe costretto il gestore ad interrompere il flusso di gas diretto ad el-Arish, capitale provinciale del Sinai.

Nella stessa giornata di ieri, tuttavia, non solo non è giunta alcuna rivendicazione dell’attacco, ma l’ufficio del ministro israeliano dell’Energia, Yuval Steinitz, ha smentito che vi sia stata alcuna interruzione nel servizio. “Al momento”, si legge nella nota emessa dal dicastero, “il gas naturale sta fluendo da Israele verso l’Egitto attraverso la pipeline”.

Nelle stesse ore, inoltre, arrivava anche la smentita dell’israeliana Delek Drilling and Ratio e dell’americana Noble Energy, partner della joint venture che sfrutta il gas del maxi-giacimento israeliano Leviathan che rifornisce l’Egitto attraverso la pipeline EMG.

Pipeline che – hanno fatto sapere le compagnie – “non è stata danneggiata (…). Il flusso di gas da Leviathan”, si sottolinea, “sta procedendo normalmente”.

In attesa che il giallo si risolva, vale la pena ricordare che, a dispetto della sua importanza in termini sia politici che economici, la partnership energetica tra Egitto e Israele è stata  funestata sin dall’inizio dai frequenti blitz compiuti nel Sinai da varie formazioni jihadiste, l’ultima delle quali è lo Stato Islamico, che proprio nella penisola che collega Egitto ed Israele ha fondato una “provincia” del suo virtuale impero islamista.

Già in passato tali incursioni armate – che prendono volutamente di mira le infrastrutture energetiche nel quadro di una strategia volta a mettere alle corde il regime del Cairo – hanno complicato le relazioni israelo-egiziane cementate dall’accordo del 2005 che impegnava per vent’anni l’Egitto a rifornire Gerusalemme, attraverso la pipeline che transita per il Sinai, con un miliardo di metri cubi di gas naturale l’anno.

Lo stillicidio di attacchi subiti dall’infrastruttura tra il 2010 e il 2012, e in particolare nei momenti di alta tensione seguiti alla caduta del regime di Mubarak nel gennaio del 2011, determinò tuttavia  il collasso dell’accordo del 2005, e indusse persino la compagnia pubblica Israel Electric Corp a trascinare in tribunale i propri partner egiziani General Petroleum Corporation e Egyptian Natural Gas, condannati nel 2015 a pagare una multa di 1,7 miliardi di dollari poi ridotta di oltre due terzi grazie ad un compromesso raggiunto tra i litiganti.

Oggi, ad ogni modo, la partnership israelo-egiziana ha assunto tutt’altro significato e spessore grazie alla scoperta nel 2010 da parte di Gerusalemme di Leviathan, il giacimento al largo delle coste dello Stato Ebraico che contiene riserve di gas naturale stimate in ben 535 miliardi di metri cubi. Alle immense potenzialità di Leviathan, inoltre, si sono aggiunte anche quelle di Tamar, giacimento dove attendono di essere estratti 238 miliardi di metri cubi di gas.

Risale a poco più di un anno fa l’accordo tra Egitto e Israele con cui il secondo si è impegnato a rifornire il primo  com 64 miliardi di metri cubi di gas naturale in dieci anni, per un valore pari a 15 miliardi di dollari.

L’acquirente del gas, l’egiziana Dolphinus Holdings, ha tuttavia in tasca un contratto che le dovrebbe assicurare un quantitativo di gas estratto dal solo Leviathan pari a 85 miliardi di metri cubi, per un valore in dollari pari a 19,5 miliardi.

È sempre del 2018 l’intesa con cui l’israeliana Delek Drilling, l’egiziana Egyptian East Gas Co. e l’americana Noble Energy hanno dato vita ad EMED, una joint venture che, con una somma pari a 518 milioni di dollari, ha rilevato il 39% delle quote della pipeline EMG con cui si punta a far arrivare ogni anno in Egitto 7 miliardi di metri cubi di gas israeliano, con la possibilità di aumentare il flusso di altri due miliardi di metri cubi una volta realizzate le necessarie infrastrutture aggiuntive.

Ma i piani del Cairo di diventare un grande player dell’energia, esportando nuovamente in forma liquefatta il gas israeliano, devono fare i conti con le turbolenze politiche e, in particolare, con un’insorgenza jihadista che ha le idee molto chiare su come mettere in difficoltà il regime di al-Sisi.

Back To Top