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Libia

Che cosa combina la Cina sul petrolio tra Usa, Iran e Arabia Saudita

L'articolo di Alessandro Sperandio

 

Balzo del 20% dei prezzi del petrolio e impennata di beni rifugio come l’oro il cui contratto spot è salito dell’1,2% a 1.506,87 dollari l’oncia.

L’attacco di droni a due impianti petroliferi in Arabia Saudita della compagnia Aramco comincia a far sentire i suoi effetti con una escalation dagli effetti imprevedibili. E le accuse rivolte dagli Usa all’Iran non fanno che gettare benzina sul fuoco, malgrado Teheran abbia negato qualsiasi coinvolgimento.

CINA E UE INVITANO ALLA CALMA

La portavoce della Commissione europea, Maja Kocijancic, ha parlato di “minaccia alla sicurezza regionale” in un momento in cui le tensioni nella regione sono in forte aumento, e a nome dell’Unione europea ha ribadito la sua richiesta “di massima moderazione e riduzione” della tensione. Lo stesso ha fatto la Cina invitando gli Stati Uniti alla calma. La portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying ha definito “non molto responsabile” rivolgere delle accuse contro altri Paesi senza aver accertato le responsabilità attraverso un’indagine. Pechino ha infatti solide relazioni economico-diplomatiche ed energetiche con Arabia Saudita e Iran ed è uno dei maggiori beneficiari dell’export petrolifero di Teheran dopo l’avvio delle sanzioni statunitensi.

LE ATTESE DELLA CINA

“Chiediamo alle parti rilevanti di evitare l’adozione di azioni che portino a una escalation delle tensioni regionali”, ha detto Hua, auspicando che “tutte le parti possano esercitare auto moderazione e tutelare congiuntamente la pace e la stabilità del Medio Oriente”. Pechino ha strette e solide relazioni economico-diplomatiche ed energetiche con l’Arabia Saudita e l’Iran, muovendosi con grande cautela nella gestione dei rapporti.

RIAD PRIMO FORNITORE DI GREGGIO DELLA CINA

Riad è il primo fornitore di greggio della Cina: il re Salman ha visitato Pechino nel 2017, mentre quest’anno è stata la volta del principe ereditario Mohammed bin Salman. Il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif è stato a Pechino lo scorso mese per incontrare la controparte Wang Yi, in una breve missione che ha comunque permesso di mettere a fuoco una partnership ampia e strategica di lungo termine.

QUANTO PETROLIO IMPORTA LA CINA DA TEHERAN

Secondo i dati della società Kpler diffusi da Radio Farda, nel mese di agosto l’Iran ha esportato solo 160 mila barili di petrolio al giorno, contro i 365 mila di luglio e, soprattutto, i 2,5 milioni dell’agosto dell’anno scorso. Di quei 160 mila barili venduti ad agosto, rivelano i dati Kpler, 105 mila sono andati alla Cina, 33 mila alla Siria (di cui l’Iran è l’unico fornitore, essendo Damasco sotto sanzioni Usa e Ue) e 22 mila alla Turchia, ha scritto giorni fa Start Magazine: “Secondo gli ultimi dati ufficiali, la Cina tra maggio e luglio ha importato circa 233 mila barili al giorno; non è dato sapere, osserva Radio Farda, se Pechino abbia pagato il petrolio cash, o se gli importi dovuti vadano a compensare i debiti contratti dall’Iran con le cinesi SINOPEC e CNPC”.

AL VERTICE DI ANKARA, RUSSIA, TURCHIA E IRAN PARLERANNO DELLA QUESTIONE

La questione è comunque al centro del summit di Ankara tra il presidente russo Vladimir Putin e gli omologhi turco, Recep Tayyip Erdogan, e iraniano Hassan Rohani che in origine avrebbe dovuto riguardare solo la Siria. L’interruzione dell’approvvigionamento saudita potrebbe, infatti, durare mesi secondo alcune fonti citate dagli organi di informazione internazionali e questo potrebbe essere solo l’inizio. Secondo il direttore della ricerca di Morningstar, Sandy Fielden, “il Brent potrebbe schizzare a 80 dollari domani, mentre WTI potrebbe arrivare a 75 dollari…..”. Ma questo dipende dagli aggiornamenti che Aramco fornirà nelle prossime 48 ore. L’attacco ha infatti dimezzato la produzione saudita, scesa a 5,7 milioni di barili al giorno, il 5% della produzione mondiale, ed è superiore a quella del 1979 con la rivoluzione iraniana e del 1990 con l’invasione del Kuwait, secondo Bloomberg.

L’ARABIA SAUDITA VUOLE RIPRISTINARE UN TERZO DELLA PRODUZIONE NELL’IMMEDIATO

Per il momento l’Arabia Saudita ha fatto sapere che intende ripristinare al più presto almeno un terzo della sua produzione petrolifera, mentre il ministro del Petrolio, il principe Abdel Aziz ben Salmane, ha annunciato il possibile utilizzo delle riserve del paese per compensare la perdita della produzione, mossa simile a quella già autorizzata dagli Usa.

I QUATTRO POSSIBILI SCENARI DELLA CRISI

Damien Courvalin, commodity strategist di Goldman Sachs, ha delineato quattro possibili scenari secondo quanto riporta Oilprice.com: “Un’interruzione molto breve – una settimana ad esempio – potrebbe far salire i prezzi a lungo termine per riflettere un premio di rischio crescente, di circa 3-5 dollari al barile”. Un’interruzione di due-sei settimane, “oltre allo spostamento dei prezzi a lungo termine, vedrebbe un inasprimento della curva a termine del Brent di 2-9 dollari/barile rispettivamente. Nel complesso, il movimento di prezzo atteso potrebbe essere compreso tra 5 e 14 dollari al barile, commisurato alla durata dell’interruzione (un’interruzione di sei mesi di 1 mb/d sarebbe simile a quella di sei settimane ai livelli attuali)”. Se l’attuale livello di interruzione del servizio dovesse essere annunciato per più di sei settimane, “ci aspettiamo che i prezzi del Brent raggiungano rapidamente un livello superiore a 75 dollari al barile”. Un’interruzione netta di 4 milioni di barili giornalieri per più di tre mesi “porterebbe probabilmente i prezzi al di sopra dei 75 dollari al barile per innescare risposte sia nell’offerta sia nella domanda di shale di grandi dimensioni”.

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