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Cacciatori di CO2 per salvare la Terra

L'articolo di Luca Longo sulle tecniche di cattura e di sequestro dei gas serra, prima fra tutti la CO2, pubblicato da Eniday 

Sappiamo che la Terra sta diventando sempre più calda. Il gruppo Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC: la maggiore autorità internazionale sul cambiamento climatico riconosciuta dai governi di tutto il mondo) ha individuato la causa dell’aumento della temperatura mondiale nelle sempre più elevate emissioni di gas serra.  Fra questi, l’anidride carbonica (CO2) è stata individuata come la maggiore responsabile del cambiamento climatico.

Sappiamo bene che tutto questo eccesso di CO2 viene dalla combustione delle fonti fossili (carbone, petrolio e gas naturale) ma anche da importanti processi industriali (cementifici, industria siderurgica, …). Ne abbiamo parlato in questi brevissimi video.

Se lasciamo che l’anidride carbonica liberata si accumuli in atmosfera, questa impedisce alla radiazione solare che colpisce la Terra di disperdersi nello spazio e provocherà un pericoloso aumento della temperatura del pianeta, proprio come avviene in una serra. IPCC ha verificato che se non conteniamo l’aumento della temperatura, impedendo che cresca più di un paio di gradi centigradi entro la fine del XXI secolo, saranno guai. Guai seri per tutti.

Non esiste una semplice formula magica per impedire questo cambiamento climatico: dobbiamo lavorare su più fronti. Prima di tutto, dobbiamo promuovere ricerca, sviluppo e diffusione delle fonti rinnovabili e, nella transizione verso un futuro basato su queste tecnologie energetiche pulite, dobbiamo sfruttare in modo più efficiente le fonti energetiche fossili, privilegiando quelle che producono meno CO2 a parità di energia sviluppata (primo fra tutti il gas naturale). In parallelo, dobbiamo allungare la vita utile dei prodotti anche attraverso una loro progettazione che consenta un facile recupero, riciclaggio e riuso dei materiali.

Tutti gli scenari prevedono che nei prossimi decenni le fonti fossili saranno ancora dominanti nel panorama energetico mondiale. Per questo, occorre realizzare tecnologie che permettano, in modo efficiente ed economico, di catturare e di sequestrare in modo permanente i gas serra, prima fra tutti la CO2.

Sono note con la sigla CCS (Carbon Capture and Storage) e consistono nel sequestrare permanentemente la CO2 catturata con processi ben conosciuti direttamente alle fonti principali: gli scarichi degli impianti di produzione di energia e industriali in genere (raffinerie, cementifici, impianti siderurgici, …). L’anidride carbonica viene quindi portata in siti di raccolta e infine destinata allo stoccaggio geologico in campi petroliferi ormai esauriti oppure in bacini profondi di acqua salata. In questo modo, oggi nel mondo si sistemano 4 milioni di tonnellate di CO2 all’anno (MtCO2/a) e ci sono progetti in corso per arrivare rapidamente a 15 MtCO2a. Una bella cifra anche se ancora troppo bassa.

Ma catturare la CO2 per nasconderla sotto terra equivale un po’ a gestire i rifiuti semplicemente buttandoli in discarica. Sono necessari forti investimenti, elevati costi operativi e, infine, il monitoraggio continuo e permanente dei siti di stoccaggio sotterraneo.

Sappiamo che è meglio differenziare e riciclare i rifiuti, reimmettendoli nel ciclo produttivo, eliminando il problema delle discariche e producendo nuovi oggetti con un consumo minore di materie prime. Allo stesso modo, anche l’anidride carbonica può essere non solo eliminata, ma utilizzata e trasformata in qualcosa di utile.

In questo caso si parla di CCU: Carbon Capture and Utilization. Una applicazione molto diffusa si chiama Enhanced Oil Recovery. Una tecnica molto diffusa consiste nel iniettare anidride carbonica nei giacimenti di petrolio per smuovere e quindi spingere fuori più velocemente il greggio che ancora vi si trova. Anche in questo caso, la CO2 rimane intrappolata permanentemente nel giacimento quando questo si esaurisce. Si è raggiunto il duplice scopo di sottrarre anidride carbonica all’ambiente ma anche di utilizzarla per spingere fuori il petrolio. In questo modo, nel mondo oggi si mette una pietra sopra (letteralmente) a 28 MtCO2/a. E sono in corso progetti per portare questa cifra a oltre 40 MtCO2/a che si aggiungono agli stoccaggi “puri” di cui abbiamo già parlato.

Sommando tutti i progetti di stoccaggio, arriviamo a 70 MtCO2/a entro il 2025. Ma siamo ancora ben al di sotto delle raccomandazioni stabilite dagli Accordi di Parigi, che hanno fissato l’obiettivo di smaltire almeno 910 MtCO2/a entro il 2025 per arrivare ad almeno 11.250 MtCO2/a entro il 2060.

Un altro impiego dell’anidride carbonica è quello nell’industria. Essa può venire sfruttata così com’è per impieghi tecnologici nell’industria alimentare (produzione di bibite gassate e simili), oppure come reagente nell’industria chimica: per la produzione di urea, di carbonati inorganici, metanolo e derivati si impiegano circa 200 MtCO2/a di anidride carbonica; e presto si arriverà a 300 MtCO2/a.

Ma per trasformare l’anidride carbonica in qualsiasi cosa dobbiamo affrontare un grosso problema. La molecola di CO2, infatti, è molto stabile. Anzi: è il più stabile composto a base di Carbonio che si conosca.

Questo significa che per trasformarlo in qualsiasi altro composto, occorre spendere almeno la stessa energia che poi quel composto libererebbe se lo bruciassimo. Per questo, dobbiamo stare ben attenti a non fidarci quando ci dicono che qualcuno ha trovato il modo di convertire anidride carbonica in plastica – o magari in carburante – senza spendere energia, come ad esempio qui. Perché sicuramente c’è sotto qualche truffa o semplice ignoranza.

Infine, quando analizziamo un processo di CCU, dobbiamo valutare quanto tempo il Carbonio riutilizzato rimarrà in uso all’interno di quel prodotto prima di tornare in circolazione come CO2. Ad esempio, se lo trasformiamo in materiali plastici riusciremo a togliere di mezzo una quantità corrispondente di CO2 per anni o decenni, mentre se iniettiamo anidride carbonica in una bevanda gassata, questa tornerà a liberarsi in pochi mesi, appena qualcuno …se la berrà… Infine, se trasformiamo la CO2 in metanolo o in un qualsiasi altro combustibile, questa tornerà in circolazione appena lo bruciamo. Il vantaggio, però, consisterà nell’aver rimesso in circolo solo la stessa quantità di CO2 necessaria a produrre il combustibile senza sfruttare le fonti fossili tradizionali e dover quindi mettere in circolo nuova anidride carbonica.

In conclusione, i processi di CCS hanno limitazioni di lungo periodo analoghi a quelli delle discariche tradizionali per i rifiuti. I processi CCU, invece, non fanno altro che cercare di imitare il ciclo naturale del carbonio, che da miliardi di anni vede le piante e le alghe fissare la CO2 – grazie all’energia del Sole – per produrre zuccheri, amidi, cellulosa e lignina. Poi gli erbivori se li mangiano producendo anche aminoacidi e proteine di cui a loro volta sono ghiotti i carnivori. Quando gli animali muoiono, i microorganismi provvedono a nutrirsene liberando alla fine proprio tutta quella energia che era stata immagazzinata per rimetterla in circolazione a disposizione di nuove piante e nuove alghe.

I processi CCU sono parte di un ciclo virtuoso proprio dell’economia circolare: riciclano il carbonio dalla sua forma a minima energia (la CO2) per generare prodotti e/o combustibili. Ma il ciclo si deve chiudere sempre con la cattura della anidride carbonica emessa dal consumo di questi prodotti per poi essere rimessa in circolo in modo, idealmente, indefinito utilizzando fonti rinnovabili.

Lavorando per la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie per la cattura e il riutilizzo dell’anidride carbonica si riduce la necessità di utilizzare materie prime di origine fossile con conseguente riduzione delle emissioni di CO2. Ma, soprattutto, si evita l’aumento della temperatura della Terra a vantaggio di tutti i suoi abitanti.

Anche Eni fa la sua parte in questa battaglia, e ne parleremo qui fra pochi giorni.

 

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