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Litio

Anche l’Australia si prepara alla nuova Nato dei metalli

L'Australia promette un monitoraggio più severo degli investimenti stranieri nell'industria mineraria. Il paese vuole proporsi come una fornitrice affidabile di materie prime per la transizione energetica, in alternativa alla Cina. Tutti i dettagli.

 

L’Australia, prima esportatrice di litio al mondo, vuole dotarsi di regole più restrittive sugli investimenti stranieri nel proprio settore minerario.

Oltre che di litio, indispensabile per le batterie dei veicoli elettrici, il paese è un fornitore rilevantissimo di altri metalli critici per la transizione energetica, come le terre rare.

– Leggi anche: La Lega coccola Eni per estrarre terre rare in Italia?

GARANTIRE L’INTERESSE NAZIONALE

Il ministro del Tesoro Jim Chalmers ha specificato che il governo australiano intende però promuovere gli investimenti esteri – in particolare nel comparto della lavorazione dei minerali grezzi – provenienti da nazioni alleate, perché “gli investimenti stranieri sono una cosa buona quando sono nel nostro interesse nazionale”.

“Con la crescita dell’interesse per gli investimenti e con l’aumento delle fonti di provenienza di tale interesse”, ha dichiarato, “dovremo essere più decisi nell’incoraggiare gli investimenti che si allineano chiaramente con il nostro interesse nazionale a lungo termine”.

IL PESO DELLA CINA NELLA RAFFINAZIONE DEI METALLI CRITICI

Il nuovo governo laburista australiano, entrato in carica lo scorso maggio, sta lavorando alla costruzione di una filiera per la lavorazione dei metalli critici, un’attività generalmente concentrata in Cina. Pechino controlla infatti quasi il 60 per cento della capacità globale di raffinazione del litio, quasi il 70 per cento di quella del nichel e circa il 70 per cento di quella del cobalto, oltre a possedere un semi-monopolio su quella delle terre rare.

IL PIANO DELL’AUSTRALIA DA 2 MILIARDI

Nel 2021 l’Australia ha istituito una piattaforma per lo sviluppo di una supply chain interna dei minerali critici, chiamata Critical Minerals Facility, dal valore di 2 miliardi di dollari australiani.

I fondi federali stanno al momento supportando l’azienda Iluka Resources nella costruzione di un impianto di raffinazione delle terre rare, il primo nel paese: una volta completato, secondo le stime, permetterà di coprire il 9 per cento del mercato mondiale degli ossidi di terre rare.

Un’altra società australiana, Lynas – la più grande produttrice di terre rare al di fuori della Cina – sta realizzando uno stabilimento nell’Australia occidentale per la produzione di carbonati di terre rare, che verranno successivamente spediti negli Stati Uniti per essere ulteriormente raffinati.

FORNIRE UN’ALTERNATIVA AGLI ALLEATI

La ministra delle Risorse Madeleine King ha detto che il piano dell’Australia per il potenziamento della propria industria mineraria servirà a garantire alle nazioni amiche una fornitrice di materie prime su cui poter fare affidamento, dopo che l’invasione dell’Ucraina ha messo in risalto i rischi strategici della dipendenza da paesi ostili.

“Per dirla nel modo più semplice possibile”, ha dichiarato il tesoriere Chalmers, “i nostri amici internazionali devono affidarsi a qualcuno, quindi facciamo in modo che si affidino a noi”, ha detto.

LA NATO DEI METALLI

Nel presentare la nuova linea di Canberra, Chalmers non ha però annunciato modifiche agli investimenti attuali come fatto invece dal Canada qualche settimana fa: Ottawa ha ordinato a tre aziende cinesi di dismettere i loro investimenti nell’industria canadese del litio per ragioni di sicurezza nazionale.

Oltre a essere stretti alleati degli Stati Uniti, sia il Canada che l’Australia fanno parte della Partnership per la sicurezza dei minerali, soprannominata “NATO dei metalli“: si tratta di un’alleanza di paesi politicamente affini (ne è membro anche l’Unione europea) che ha l’obiettivo di costruire una filiera internazionale dei minerali critici “libera” dall’influenza di Russia e Cina.

“Una rete di approvvigionamento di minerali che prima era altamente globalizzata”, aveva scritto l’analista Andy Home, “sembra destinata a dividersi in sfere di influenza politicamente polarizzate”: da una parte Washington e suoi partner (è il concetto di friend-shoring, una sorta di “globalizzazione tra amici”), dunque, e dall’altra Pechino e Mosca.

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