Il governo dell’Arabia Saudita sta valutando la possibilità di vendere sul mercato una quota consistente di azioni di Aramco, la compagnia petrolifera statale, in modo da raccogliere almeno 40 miliardi di riyal (circa 10 miliardi di dollari). L’operazione – stando alle fonti di Bloomberg – potrebbe essere avviata a febbraio sulla borsa saudita. Se dovesse aver successo, si tratterebbe di una delle più grandi vendite di azioni degli ultimi anni e rappresenterebbe un avanzamento del piano di Mohammed bin Salman, il principe ereditario, per diversificare l’economia del regno al di là del petrolio.
COSA FARÀ L’ARABIA SAUDITA CON ARAMCO?
Quattro anni fa l’Arabia Saudita ha raccolto all’incirca 30 miliardi di dollari con l’offerta pubblica iniziale di Aramco, in quella che è stata la più grande vendita di azioni al mondo. Oggi, spiega Bloomberg, il principe bin Salman ha bisogno di fondi per finanziare lo sviluppo del turismo, dello sport e ovviamente del mega-progetto Neom, una città futuristica vicino al mar Rosso.
Il governo saudita, comunque, non ha rilasciato alcuna comunicazione ufficiale sulla vendita di azioni di Aramco: la società è la più grossa esportatrice di petrolio al mondo, con un valore di mercato superiore ai 2000 miliardi di dollari. Nel 2021, tuttavia, Mohammed bin Salman aveva detto che Riad avrebbe puntato a vendere una parte delle sue azioni e che ne avrebbe trasferito i proventi al fondo sovrano nazionale: il Public Investment Fund è dedicato appunto alla diversificazione economica dell’Arabia Saudita attraverso investimenti in settori come la mobilità elettrica, lo sport o i videogiochi.
Ad oggi, il governo saudita possiede il 98 per cento di Aramco: il 90 per cento circa è posseduto direttamente, mentre il restante 8 per cento è detenuto dal Public Investment Fund, comunque controllato da Riad.
LA MOSSA DELL’ARABIA SAUDITA SUL PETROLIO
Nei giorni scorsi il governo dell’Arabia Saudita ha ordinato ad Aramco di sospendere le attività per l’aumento della capacità produttiva di petrolio a 13 milioni di barili al giorno, che verrà invece mantenuta a 12 milioni di barili, garantendo comunque alla società un “cuscinetto” (buffer) di 3 milioni di barili al giorno tra gli attuali livelli di produzione e quelli massimi.
La decisione è ovviamente significativa, in quanto proveniente non soltanto dalla prima nazione esportatrice di petrolio al mondo, ma anche e soprattutto da una nazione che basa la sua intera economia proprio sulle rendite petrolifere.
I calcoli sauditi sono certamente influenzati dalla transizione energetica, che nel tempo causerà una progressiva riduzione della domanda globale di petrolio e degli altri combustibili fossili, ma non solo. Riad deve infatti fare i conti con una sempre più forte concorrenza di esportatori petroliferi esterni al cartello dell’OPEC: e cioè del Brasile, della Guyana, del Canada e soprattutto degli Stati Uniti (che ne producono 13,3 milioni di barili al giorno).
Nonostante il passaggio alle fonti di energia “pulita”, il mondo continuerà ad avere bisogno di petrolio per molto tempo. Ma probabilmente non di così tanto petrolio come oggi, e soprattutto non di così tanto petrolio saudita, vista l’emersione di nuovi fornitori.
Rinunciare all’aumento della capacità produttiva permetterà ad Aramco di risparmiare denaro che potrà utilizzare per altri scopi. Ad esempio, per pagare dividendi più ricchi al governo, che a sua volta sfrutterà quei soldi per ridurre il deficit di bilancio e per investire nella diversificazione economica.