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Energia

Vi spiego fini e rischi del Mes riformato

Tutto sulla riforma del Mes, con i potenziali effetti sul debito pubblico. L'approfondimento dell'analista Giuseppe Liturri

 

Il Mes è come l’idra, serpente mitologico con tante teste. Ne tagli una e ne restano sempre tante, troppe. Pertanto comprendiamo lo smarrimento dei lettori di fronte al riaccendersi del dibattito politico sul Mes. Quando sembrava ormai spento il dibattito sulla linea di credito speciale per le spesa sanitarie, stroncata addirittura dalle parole del presidente dell’Europarlamento David Sassoli, ora siamo di nuovo alle prese con il Mes “full optional”, la cui proposta di riforma, solo pochi giorni fa, era stata considerata “politicamente impraticabile” in un documento del pensatoio berlinese Jacques Delors Centre.

Parliamo quindi della riforma del Mes, già oggetto di un accordo politico “in linea di principio” maturato tra giugno e dicembre 2019, la cui formalizzazione, prevista per i primi mesi del 2020, era stata però lasciata in sospeso a causa del sopraggiungere della crisi da Covid (qui la dettagliata cronistoria degli eventi).

Due sono le modifiche chiave di questa riforma:

1) Qualora il nostro Paese perdesse l’accesso ai mercati e quindi fosse costretto a ricorrere al prestito del Mes, sarebbe indirizzato, ex-ante in modo automatico secondo parametri quantitativi, verso la linea di credito a condizioni rafforzate e, a quel punto, la mannaia della valutazione di sostenibilità del debito potrebbe facilmente decretare la necessità di una ristrutturazione, facilitata pure da un unico voto dei creditori per tutta la massa dei titoli.

2) Accanto a questa bomba ad orologeria, oggi accortamente messa in secondo piano, il Mes riformato conterrebbe, con un anticipo di due anni rispetto al previsto, il famoso “paracadute” (backstop) cioè un prestito di circa 68 miliardi al Fondo di risoluzione unico per le crisi bancarie (SRF), in caso di incapienza di quest’ultimo.

Il presidente Giuseppe Conte dal 21 giugno 2019 è trincerato dietro la “logica di pacchetto”. Ribadita nella risoluzione parlamentare del 11 dicembre 2019, che impegnava il governo a: “mantenere la logica di pacchetto”; “escludere interventi di tipo restrittivo sulla detenzione di titoli sovrani da parte di banche”; “assicurare il pieno coinvolgimento del Parlamento in tutti i passaggi del negoziato sul futuro della UE e sulla conclusione della riforma del Mes”. Ma, citando Abraham Lincoln, “potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre”. Tale promessa non regge più e potrebbe essere stato il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire a ricordarlo giovedì 26 al suo omologo italiano Roberto Gualtieri, giusto in tempo per l’Eurogruppo del lunedì successivo a cui hanno fatto seguito (ed è tutto dire!) i ringraziamenti del francese.

Evidentemente, quanto riferito dall’Ansa, citando “fonti europee che preparano l’Eurogruppo di lunedì” (“Non ho ragioni per aspettarmi che gli impegni politici presi dall’Italia un anno fa sulla riforma del Mes non siano affidabili”: “il testo è chiuso e ora ci aspettiamo che tutti rispettino l’impegno politico preso, e che questo sia rispecchiato anche nelle procedura nazionali”) ha sortito il proprio effetto.

I fatti stanno a dimostrare che, nonostante tutti i proclami da parte di Conte e Gualtieri, formalmente rispettosi della volontà del Parlamento e della Legge Moavero (n. 234 del 2012), costoro abbiano scelto chi ingannare, relegando al ruolo di lettera morta le risoluzioni del Parlamento.

Il tradimento del mandato parlamentare sta proprio nella scomparsa del “pacchetto”, di cui invece Gualtieri ha rivendicato, con inusitata sfrontatezza durante l’audizione parlamentare di lunedì 30, il rispetto. Con due gravi omissioni riguardanti gli altri due elementi del pacchetto (oltre alla riforma del Mes):

  1. Unione Bancaria significa completare la terza gamba costituita dallo schema di assicurazione comune sui depositi che è invece “bloccata da mesi” come testualmente dichiarato ieri dal ministro dell’Economia spagnolo Nadia Calvino al quotidiano catalano La Vanguardia. Gualtieri non può nascondersi dietro alla foglia di fico della semplice proposta di quegli argomenti o della costituzione del prestito-paracadute per i salvataggi bancari: pacchetto significa che o c’è accordo su tutto o non c’è accordo.
  2. Il Bicc (strumento di bilancio per la convergenza e la competitività) è stato cancellato a luglio dal Next Generation EU e quindi Gualtieri rivendica di aver fatto meglio. Corretto. Peccato che – come desumibile da articoli apparsi su Bloomberg e Financial Times – anche la Merkel disperi ormai di piegare la resistenza di Polonia ed Ungheria ed è elevata la probabilità che la sessione plenaria dell’Europarlamento prevista per il 14 dicembre non riesca ad approvare il NGeu e slitti tutto a gennaio.

Il Bicc non c’è e non c’è nemmeno il NGEu. Un accorto negoziatore non avrebbe mai dovuto accettare la riforma del Mes, senza avere la certezza del NgEu.

Lo stesso ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ricordava sul Sole 24 Ore del 1 dicembre 2019: “Lo “statement” del Summit (del giugno precedente; nda) precisava, peraltro, che, come richiesto dall’Italia, nei mesi successivi si sarebbe dovuto proseguire nei negoziati seguendo un approccio complessivo in una logica di “pacchetto” con riferimento ai tre ambiti delineati nel dicembre precedente – revisione del Trattato MES, introduzione dello strumento di bilancio per la competitività e convergenza (cd. Budget dell’Area Euro) e l’Unione bancaria, inclusa l’assicurazione europea sui depositi (EDIS). In altri termini si richiedeva che l’accordo finale dovesse riguardare il “pacchetto” nel suo insieme. Ho l’impressione che i negoziati non siano avanzati di molto in questi altri ambiti”.

Fin qui abbiamo ragionato nel metodo. Ora affrontiamo il merito.

Il sostegno del Mes si baserebbero ab origine su una distinzione fra buoni e cattivi, con l’Italia relegata nel girone dei cattivi proprio in base a quei parametri (Patto di Stabilità e Fiscal Compact) che sono fortunatamente sospesi a causa della pandemia e che sembrano oggi appartenere ad un’altra era geologica. Il Mes interverrebbe solo a favore di Stati il cui debito è giudicato sostenibile, imponendo peraltro pesanti condizionalità, che possono anche giungere a una vera e propria ristrutturazione preventiva del debito che, se non è giudicato sostenibile dal MES, diviene di fatto una precondizione per accedere al prestito. Avete mai visto un medico condizionare la somministrazione di una medicina alla assenza di sintomi della malattia? Il Mes funzionerebbe così, con l’aggravante che la sua sola presenza causerebbe proprio la malattia. Infatti, l’analisi di sostenibilità del debito, eseguita in modo preventivo e sistematico, significa accettare che si trasmettano ai mercati criteri puntuali sulla base dei quali verificare la probabilità che uno Stato sia tra i buoni o i cattivi, rischiando di innescare una speculazione al ribasso sui nostri titoli di Stato. “Uno strumento di sostegno che sembra pensato per penalizzare maggiormente proprio chi di quel sostegno potrebbe avere maggiore bisogno”, così lo definì da presidente del Cer (Centro Europa Ricerche) Vladimiro Giacché in un’audizione parlamentare a fine 2019 e, dopo un anno, è difficile trovare una sintesi migliore.

Sono strumenti di assistenza finanziaria perfetti per innescare una nuova crisi del debito, perseverando in tal modo nei gravi errori del 2011-12”, aggiunse Giacché.

Esattamente negli stessi giorni, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, identificò perfettamente il rischio di ristrutturazione del debito specificando che “tale riforma si inserisce fra le iniziative mirate a ridurre l’incertezza circa le modalità e i tempi di una possibile ristrutturazione di un debito pubblico […] I benefici contenuti e incerti di un meccanismo per la ristrutturazione del debito vanno valutati a fronte del rischio enorme che si correrebbe introducendolo: il semplice annuncio di una tale misura potrebbe innescare una spirale perversa di aspettative di insolvenza, suscettibili di autoavverarsi”.

Allora va spiegato che la riforma del “Salva Stati” segna un tornante di importanza eccezionale per il futuro dell’economia del nostro Paese, perché c’è l’enorme rischio di istituzionalizzare la presenza della Troika a Palazzo Chigi.

Tali rischi sono puntualmente descritti in un interessante studio in materia pubblicato a maggio scorso e cofirmato dal direttore degli affari legali del Mes Jasper Aerts, quindi una fonte al di sopra di ogni sospetto.

Il Mes è uno strumento per rendere gestibile in modo ordinato una ristrutturazione del debito pubblico. Puramente e semplicemente. E produce danni per il solo fatto di esistere perché facilita una profezia autoavverante, ben riassunta dalla legge di Murphy: se qualcosa può andare storto, lo farà. E pure nel momento peggiore, aggiungiamo noi.

Le clausole di azione collettiva (Cac) a voto unico (single limb) per tutti i titoli in circolazione (anziché un doppio voto separato per ciascuna serie e per tutti i titoli, dual limb), impediscono che un creditore, detenendo più del 33% dei titoli di una singola serie, blocchi la ristrutturazione di tutto il debito. Ed è quindi uno straordinario incentivo per provocare la fuga degli investitori timorosi della ristrutturazione. Tale fuga conduce, a sua volta, lo Stato emittente a perdere l’accesso ai mercati con la conseguente entrata in scena dei prestiti del Mes condizionati ad un programma di aggiustamento macro (nel migliore dei casi) o a una ristrutturazione del debito. Infatti, il Mes, come creditore, non può prestare ad uno Stato a rischio default e lo Stato sarebbe costretto, pur di accedere al prestito, a richiedere ai creditori un taglio del debito che lo renda sostenibile. Oppure una mega patrimoniale sulle attività finanziarie e reali degli italiani. Una sequenza causale micidiale, che ha il suo innesco nella valutazione della sostenibilità del debito eseguita ex ante dal Mes. Tale esercizio si è concluso positivamente per il nostro Paese a maggio scorso, solo perché contiene l’obiettivo di ridurre il rapporto debito/PIL al livello pre Covid entro il 2031. 25 punti in meno in 10 anni: 2,5% all’anno. Il classico salasso che rischia di ammazzare il malato. Tale sequenza causale diventerebbe ancora più probabile e rapida qualora un nuovo governo decidesse di non rispettare tale sentiero di rientro, facendo delle diverse scelte di politica di bilancio. A quel punto, gli uomini della Troika potrebbero aver già preparato i trolley.

Quelle clausole offrono, senza nemmeno tanti sforzi, una pistola per far sì che lo Stato membro prema il grilletto. Ma c’è di peggio: gli investitori, avendo contezza di questo probabile scenario, cercheranno di disinvestire rapidamente, creando instabilità finanziaria e quindi contribuendo all’avveramento dell’evento temuto. Perfino per il legale del Mes questo è uno scenario possibile (“non è situazione da bianco o nero, solo il tempo lo dirà”), ma non per Gualtieri che ci propala l’ennesima ovvietà costituita dall’assenza della ristrutturazione automatica preventiva del debito. E ci mancherebbe altro! Gualtieri parla di discrezionalità concessa agli Stati nelle decisioni che è però irrilevante poiché il Mes imporrà la propria presenza senza necessità di chiamarlo, per il meccanismo causale sopra descritto. Esso è lo strumento principe per imporre la disciplina dei mercati (vecchio pallino del tedesco Wolfgang Schauble esposto nel suo non paper di fine 2017), che costringono uno Stato membro, con spietata efficacia, a votare all’unanimità anche la decisione di premere il grilletto su sé stesso (il nostro voto a favore di Fiscal Compact e bail-in nel passato recente dovrebbero insegnare qualcosa). Illuminante, a questo proposito, quanto scritto dal prestigioso editorialista, già al Financial Times per 17 anni, Wolfgang Munchau.

Ma le perplessità nel merito non mancano anche sull’aspetto della riforma più esaltato da Gualtieri. Il ministro ha magnificato le virtù del nuovo prestito-paracadute (backstop) che il Mes dovrebbe poter erogare a favore del SRF a partire dal 2024. Secondo lui, l’anticipo al 2022 di questa linea di credito di 68 miliardi con scadenza 3 anni rinnovabili, è un tema di cui andar fieri in quanto deriva da una positiva valutazione del rischio delle nostre banche, che hanno ridotto considerevolmente i crediti inesigibili negli ultimi anni. Quello che il ministro non ci ha detto è che tale Fondo era pari a luglio 2019 a soli 33 miliardi e dovrebbe raggiungere circa l’1% dei depositi dell’eurozona entro la fine del periodo transitorio (2023). Si è anche guardato bene dell’aggiungere che l’intervento del SRF in caso di dissesto bancario presuppone il bail-in fino al 8% del passivo della banca coinvolta, il che, come abbiamo visto in Italia, solo qualche anno fa, non è proprio un fattore di stabilità e tranquillità per i risparmiatori.

Allora cosa accadrà da qui fino al 27 gennaio 2021, quando i ministri plenipotenziari dei 19 Paesi dell’Eurozona firmeranno l’atto di adozione della riforma del Trattato del Mes, dando il via al processo di ratifica da parte dei rispettivi Parlamenti nazionali, che potrebbe durare circa un anno? L’attesa sarà ricca di colpi di scena come l’attesa del treno delle 3:10 nel film western Quel treno per Yuma?

Certo, l’accordo politico raggiunto lunedì all’Eurogruppo è un passaggio determinante, ma non definitivo, per la conclusione dell’intera vicenda. Ci sono almeno altre due tappe significative: il prossimo 9 dicembre, il Presidente Giuseppe Conte si recherà alle Camere per le consuete comunicazioni che precedono ogni Consiglio Europeo ed Euro Summit e, in quella sede, ci sarà un voto su una o più risoluzioni di indirizzo (in genere una di maggioranza ed una di minoranza). Il successivo 11 dicembre Conte parteciperà all’Euro Summit in cui la volontà politica espressa dell’Eurogruppo sarà fatta propria dai capi di Governo.

È probabile che mercoledì prossimo in aula esplodano tutte le tensioni emerse all’interno del M5S dopo l’audizione del ministro Roberto Gualtieri ed il suo successivo avallo alla riforma del Mes. Ed oggi abbiamo avuto già un consistente antipasto con una lettera di opposizione alla riforma da parte di 52 deputati e 17 senatori del Movimento. Martedì c’era già stato il compattamento delle opposizioni.

L’attesa del treno per Yuma non sarà noiosa.

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