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Digital Tax

Vi racconto l’orgia di tasse verdi che ci faranno neri. Il commento di Seminerio

Il commento di Mario Seminerio, curatore del blog Phastidio.net

 

Come era sin troppo prevedibile, i nostri chiacchieroni governativi si sono rapidamente incagliati sulle secche della realtà ed ora tentano disperatamente di liberarsi, rilanciando con nuove idiozie che finiscono invariabilmente alla casella del tassa & spendi. Questa è la condizione normale, in un paese che vive e muore di autoinganno.

Del decreto ambiente, che ha forato ancor prima di finire il giro di ricognizione, sappiamo. Non è questione di coperture specifiche ma di quello che accade ogni volta che si va a toccare un interesse precostituito. Eliminare, a colpi di un decimo l’anno, i cosiddetti sussidi ambientalmente dannosi (in acronimo, SAD) è una cosa molto bella ma che finisce dritta in faccia ad autotrasportatori, automobilisti proprietari di auto diesel, agricoltori, utilizzatori del trasporto pubblico locale.

Ricordate che in Francia l’innesco della protesta dei gilet gialli è nato proprio dalle proteste per il maggiore onere che la “rivoluzione verde” infligge ai costi di trasporto in un paese fortemente duale tra città e campagne. E magari ricordiamo anche che molti esiti elettorali si decidono e si decideranno sul dualismo tra gli interessi dello status quo e quelli dell’innovazione ambientale.

In Australia, ad esempio, le ultime elezioni hanno visto la rielezione a sorpresa del premier Scott Morrison, in quella che è stata una vera e propria “elezione climatica”, con lo sfavorito Morrison che si presenta in parlamento brandendo un pezzo di carbone ed esclamando: “questo è carbone, non abbiate paura!”

Vorrei rassicurare chi mi legge: non sto sostenendo le ragioni della old economy e della CO2. Sto dicendo una cosa diversa: e cioè che ogni cambiamento strutturale nel paradigma produttivo necessita di tempo, e di prendere in considerazione i costi per chi di quel paradigma vive, nel senso che ci mette assieme pranzo e cena. Col “partiamo, gli altri si adegueranno” non si arriva da nessuna parte, anche se comprendo quelli che affermano che “non resta molto tempo”, anche se sento questa frase da quando ero un bambino e vi assicuro che è passato molto tempo, da allora.

Piccolo pedante inciso: visto che quello del cambiamento climatico è un gioco cooperativo ad elevata numerosità di giocatori (gli Stati del pianeta Terra), che facciamo con gli elettori australiani o quelli indiani, brasiliani e così via, in caso eleggano politici avversi ad agire rapidamente? Ah, saperlo.

Torniamo in Italia. Sappiamo perché il decreto ambiente si è incagliato. Non ci voleva Einstein per comprendere le difficoltà. Che riguardano chiunque si accinga a mobilitare nuovi tributi per alleggerirne altri, come sperimenteranno i tedeschi col loro maxi pacchetto clima. E infatti in quel paese il dibattito ha subito preso una piega caratteristicamente adulta, tra quanti ritengono che il prezzo delle quote nazionali di CO2 messe in vendita sia troppo basso per essere realmente incisivo e quanti invitano a considerare i tradeoff tra innovazione tecnologica e competitività del paese nel breve termine, perché nel lungo termine non c’è alcun dilemma né contrapposizione tra le due.

E invece che ti fanno, gli italiani? Discutono amabilmente su alimentari sfusi (fonte di enormi sprechi ed oneri aggiuntivi) ed accise su merendine, oltre a tasse sui voli aerei. Andiamo con ordine.

Non appartengo all’esercito di quanti pensano che esistano proiettili d’argento e per giunta a costo zero. Non esistono né gli uni né gli altri. La vita è fatta di tradeoff, cioè posso avere una cosa o un’altra, in mix variabile tra le due. Detto in altri e meno esoterici termini, il concetto di tradeoff vuol dire che “non esistono pasti gratis”. Ma gli italiani pare non intendano accettare questa triste realtà. Mai triste quanto quella a cui stanno condannandosi, però.

Ricordiamo che la “tassa” sui voli aerei verrà usata in Germania per rendere più convenienti i viaggi in treno. Questo è un esempio di scelta che resta coerente con gli obiettivi. In Italia, invece, abbiamo il ministro dell’Istruzione che vuole tassare i voli e le merendine (sic) per “investire in ricerca e scuola”, che sono cose che “aiutano l’ambiente”, dicono.

Fantastico, dove si firma? Poi vai a grattare sotto la superficie e scopri che questo gettito aggiuntivo se ne va per finanziare aumenti rigorosamente a pioggia ai docenti, senza neppure fingere selezione e merito (orrore!). Una classe politica fallita scopre così il nuovo proiettile d’argento, per masturbare il proprio ego ipertrofico da ingegneri sociali.

Nasce quindi il Pigou Fans Club, che sarebbe l’accozzaglia di quanti si richiamano alle imposte pigouviane per riorientare i comportamenti sociali. Ma l’equivoco di fondo è che l’imposta pigouviana nasce per contrastare le esternalità negative prodotte dall’inquinamento e per determinare l’allocazione socialmente ottimale delle risorse; di conseguenza non serve per fare cassa o produrre gettito stabile nel tempo, a meno di fallire nel proprio scopo.

I pigouviani di casa nostra sono spesso quelli che vedono “inquinamento sociale” in condotte che non causano vere esternalità negative, e di conseguenza pensano alla tassazione come ad uno “strumento di rieducazione delle masse”. Tutto molto totalitario ma la cosiddetta cultura profonda del nostro paese produce quello, alla fine.

Se un’imposta pigouviana funziona, il suo gettito si esaurisce nel corso del tempo. Che venga -forse- sostituito da altro gettito, su altri consumi meno “negativi”, rileva assai poco. Davvero il ministro Fioramonti e quelli come lui pensano che mettendo un’accisa sulle “merendine” si riesca a mantenere stabile nel tempo l’esborso per le spese di scuola ed università?

Questo peraltro è lo stesso atteggiamento di chi da noi teorizza di aumentare l’Iva “perché serve a spostare la tassazione dalle persone alle cose”, sottintendendo che l’aumento servirebbe a ridurre, che so, l’Irpef o i contributi in busta paga. Quando fai notare che questa considerazione è demenziale, perché qui non stiamo parlando di spostamento neutrale del carico fiscale ma di aumento del medesimo per ridurre il deficit, gli scienziati cambiano immediatamente discorso.

Non analizzerò le cosiddette merendine ma mi limiterò a constatare che è difficile considerarle junk food, vista l’evoluzione culturale degli ultimi anni, che ha impattato anche su questi alimenti. Quanto al balzello aggiuntivo sui voli aerei, pensate che non sarebbe utilizzato per ridurre i costi della mobilità ferroviaria, soprattutto locale, ma per chiudere buchi di bilancio, diretti ed indiretti.

Nel frattempo, abbiamo uno stato fallito che cerca di tenere viva una compagnia di bandiera che definire decotta è un eufemismo, e vuol farla comprare dalla compagnia ferroviaria statale, che a sua volta ha già iniziato a far cassa sul segmento premium di domanda, quella dell’Alta velocità, per prepararsi ad attutire il colpo del fallimento dell’acquisizione.

Ed ora, chiudete il cerchio: se tutto va bene, in Italia avremo gli utenti ferroviari, quelli del mezzo “verde”, che pagheranno il balzello per tenere in piedi il mezzo inquinante, che immagino sarà sempre più tassato, se questo è il trend globale. Almeno sino all’arrivo, che so, di motori a idrogeno. Però bisogna ammettere che noi italiani siamo dei veri precursori, visto che abbiamo già iniziato ad aumentare le tasse d’imbarco aereo per pagare la cassa integrazione ai dipendenti Alitalia, a oltranza e senza il tetto retributivo che hanno i comuni mortali. Più verdi di così!

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