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Vi racconto i tramestii urbanistici a 5 stelle nella Roma pentastellata

Che cosa è successo in alcune operazioni immobiliari ereditate da vecchie amministrazioni a Roma? L'approfondimento di Gianfranco Polillo

 

I grandi giornali hanno del tutto trascurato l’interrogatorio di Gabriella Raggi, co-protagonista dell’affaire che ha mandato a Regina Coeli Marcello De Vito, uno dei potenti capi del Movimento 5 stelle a Roma, nonché ex presidente dell’Assemblea capitolina. De Vito vi rimarrà, per decisione del Tribunale del Riesame, insieme al suo amico e sodale, l’avvocato Camillo Mezzacapo. Mentre Gianluca Bardelli, imprenditore, ma soprattutto esponente in vista dei 5 stelle, e l’architetto Fortunato Pititto resteranno ai domiciliari. L’architetta Gabriella Raggi, al momento semplice indagata, è invece il capo segreteria dell’assessore all’urbanistica ed alle infrastrutture politiche Luca Montuori. Dove per le infrastrutture politiche si intende la summa di tutte le funzioni più delicate che attengono alla programmazione urbana della città: dal Piano regolatore fino al dissesto idrologico, passando per la centrale unica degli appalti nel settore dei lavori pubblici. Competenza, quest’ultima che, in passato, era attribuita ad un altro assessorato. Quel Luca Montuori, con un passato di sinistra, che prima di sostituire Paolo Berdini, decisamente contrario alla realizzazione dello stadio della Roma a Tor di Valle, era stato il capo della segreteria dell’attuale vice sindaco Luca Bergamo.

L’errore nel non dare alla notizia l’evidenza che merita è duplice. Innanzitutto per i contenuti dell’interrogatorio. “Posso affermare con certezza che se la delibera di approvazione del progetto dei Mercati generali è stata presentata in Giunta, tanto è stato preceduto da un confronto con esito positivo con la maggioranza del Consiglio”: così afferma con sicurezza l’omonima del sindaco (Il Messaggero, pagine romane). E per rimarcare la dose, aggiunge: “Non può accadere che l’assessore porti all’approvazione della Giunta un progetto senza la preventiva condivisione dello stesso con la maggioranza consiliare, si realizzerebbe altrimenti uno strappo istituzionale non sanabile”. Ed ha perfettamente ragione. Ogni modifica progettuale, relativa a vecchi affidamenti, destinata ad interferire con il Piano regolatore, prima di arrivare in Giunta, deve passare per un voto del Consiglio comunale.

Se questo non è avvenuto, evidentemente vi sono state complicità diffuse, che lo hanno consentito. Quindi Marcello De Vito non è stato il solo a perorare la causa dei due costruttori romani Claudio e Pierluigi Toti, titolari del progetto degli ex Mercati generali, per i quali lo stesso gip ha disposto l’interdizione per sei mesi dai ruoli gestionali delle relative aziende. Ha, invece, potuto contare su una rete di complicità diffuse: quella rete che gli ha permesso, forse con la benevola disattenzione di qualche membro della stessa opposizione, di realizzare il colpaccio. In Giunta senza discutere. Se questo è il sale della testimonianza dell’architetta, se ne deve desumere che lo stesso De Vito non è stato solo su questa faccenda nel Movimento. Al contrario, almeno tra i consiglieri esiste un gruppo che ne ha supportato l’iniziativa. Che poi questo sia avvenuto grazie alla sua grande influenza politica o per motivi molto meno nobili, è cosa su cui dovrebbero indagare i responsabili del Movimento. Se ancora il grido “onestà, onestà, onestà” ha un minimo di senso.

Va solo aggiunto che questa diversa prospettiva toglie molto al valore della reazione di Luigi Di Maio e della stessa Virginia Raggi. Rammaricati, ovviamente, per quanto accaduto. Ma anche pronti a contrattaccare. Siamo l’unica forza politica in grado di “cacciare” il giorno stesso coloro che infrangono i nostri valori. Statuto o non statuto – ha continuato Di Maio – che De Vito si difenda, come meglio crede, ma lontano chilometri dal Movimento. Benissimo. Con la stessa determinazione, tuttavia, stando ai risultati dell’indagine in corso, non sarebbe male se non si abbassasse la guardia. Indagando sulle complicità che hanno consentito a De Vito di guadagnarsi la sudata mercede. E’ infatti evidente che le tangenti si pagano con l’idea di avere un adeguato ritorno. In questo caso il ruolo di facilitatore poteva essere svolto solo con l’accordo di altri. Che, almeno al momento, sono rimasti nell’ombra.

Chi non abita a Roma – questa è la seconda considerazione – non riesce a cogliere la valenza di un progetto come la riprogrammazione degli spazi urbani in cui erano collocati gli ex mercati generali. Da un punto di vista urbanistico, esso ha una valenza superiore a quello del nuovo stadio della Roma. Se non altro per la diversa collocazione, in una zona semi-centrale della Città: in quello spazio urbano compreso tra la Basilica di San Paolo, la terza Università, la piramide di Caio Cestio, ai piedi dell’Aventino e la stazione di Roma Ostiense, fatta costruire dal Duce per accogliere Adolf Hitler. Un crocevia dove modernità, storia e tradizione, senza contare la movida che impazza ogni sera, la fa da padrona. E che non si tratti di un piccolo progetto è dimostrato dai numeri. II volumi di costruzione, secondo l’ultima variante al progetto dovrebbero essere pari a 85.460,86 metri quadri. Di cui l’8,42% per la ristorazione, il 12,4 per il terziario, il 27,69 riservata alla cultura, il 45,63 per cento al commercio ed il 5,85% al turistico ricettivo studentato. Si: la casa dello studente, che dovrebbe servire la Terza università e poi utilizzata come residence per i turisti, nei momenti di calma.

Un progetto di questa dimensione non andava forse monitorato con un’attenzione maggiore, da parte dei 5 stelle? Non si sta parlando di un piccolo abuso di necessità, ma di una cementificazione di proporzioni straordinarie. Per carità: nessun rigurgito pan-ambientalista. Ma solo per avere contezza della dimensione degli interessi in gioco. Ed anche delle difficoltà che finora il progetto ha incontrato. Il primo tentativo risale al 2005, giunta Veltroni.

L’immaginifico al potere: con l’idea, non balzana, ma forse troppo astratta, di edificare la “città dei giovani”. Si cercano teste d’uovo in grado di dar corpo alla relativa idea. Nel 2008 il tutto viene affidato all’architetto olandese Rem Koolhass. Non abbiamo idea di quanto sia costato. Tanto più che non si produce alcunché, al punto che lo stesso architetto decide di abbandonare il progetto. Con Alemanno, ma siamo già al 2010, qualcosa si muove. Si realizza la parte frontale del progetto, ma dietro queste quinte è il nulla. Mancano gli alloggi per gli studenti, la biblioteca comunale, la sala convegni, il cinema multisala, la zona commerciale pedonale. E via dicendo. Mentre si susseguono le voci che parlano di costruire una nuova chiesa a tre navate da dedicare a san Giovanni Paolo II.

Né si può dimenticare quanto successe nel 2017, VIII Municipio: quello in cui sorgono gli ex mercati generali. Il suo presidente Paolo Pace, insieme ad una parte consistente dei suoi colleghi 5 stelle, chiede una revisione del progetto per avere più verde e meno spazio dedicato ai centri commerciali. Virginia Raggi fa, semplicemente, orecchi da mercante, anche per non incorrere in eventuali penali a favore dei costruttori, per ritardi imputabili al Comune. Si arriva ad uno scontro che assume, inevitabilmente, tinte politiche. Alle critiche del Presidente del municipio, risponde, tra gli altri, Marcello De Vito: “Credo che Paolo Pace dovrebbe riflettere sui suoi errori, piuttosto che inventarsi capri espiatori e responsabilità. Tipica modalità di cui non sa riconoscere il proprio fallimento politico”. Esito finale: Pace di dimetterà da presidente per approdare nelle fila di Fratelli d’Italia. Marcello De Vito, qualche tempo dopo, nelle patrie galere.

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