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Sindacato

Una tempesta perfetta sul sindacato italiano?

Il sindacato, tra trappola costituzionale e statalizzazione del salario, rischia di perdere la funzione più importante: quella di autorità contrattuale. L'analisi di Walter Galbusera, presidente della Fondazione Anna Kuliscioff.

Una tempesta perfetta potrebbe abbattersi sul sindacato italiano per l’effetto congiunto di differenti cause privandolo del ruolo principale, quello di svolgere la funzione di autorità salariale. Nei giorni scorsi si è tenuto un convegno promosso dalla Città Metropolitana di Milano in cui veniva discussa un’approfondita ricerca sullo stato del mercato del lavoro nella metropoli lombarda.

Al dibattito è intervenuto Giuseppe Tango, un giovane e brillante magistrato palermitano che ha spiegato con chiarezza encomiabile perché l’applicazione da parte dei giudici dell’articolo  36 della Costituzione, in riferimento  alla “retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ed alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa” fa sì che “nessuno dei contratti collettivi di lavoro sottoscritti oggi in vigore possa ritenersi al sicuro”, essere cioè al riparo da interventi della magistratura che intervenga sul valore delle retribuzioni.

L’articolo 36  è una norma costituzionale che, in assenza  del salario minimo legale o, aggiungo, dell’applicazione dell’articolo 39 della Costituzione medesima, non può essere sovvertita da accordi di natura privatistica. Se fossero in vigore il salario minimo legale o i contratti collettivi stipulati secondo le regole del “39” che attribuiscono alle parti sociali la natura di fonti di produzione giuridica sarebbe un’altra storia, perché  i magistrati potrebbero al limite sollevare eccezioni di incostituzionalità ma non cancellare leggi esistenti. Difficile dire se si stia aprendo un potenziale conflitto tra magistratura e sindacato come avvenne per alcune memorabili sentenze dei “pretori d’assalto” una quarantina di anni fa,  ma se  il rischio c’è, è anche vero che si può garantire l’autonomia e l’indipendenza dei giudici  senza ledere la libertà di contrattazione.

L’INDAGINE FRANCESE SUL SALARIO MINIMO LEGALE

Sul salario minimo legale in Italia sono stati versati fiumi d’inchiostro ma sembra di particolare interesse una indagine  del Dares, Istituto francese che si occupa di ricerca, studi e statistiche, sullo SMIC (l’acronimo con cui  in Francia si indica il salario minimo legale) secondo la quale al 1° gennaio 2023 il 17,3% dei lavoratori nel settore privato non agricolo è oggi pagato al minimo salariale contro il 12% all’inizio di gennaio 2021.  In questi due anni, il loro numero è cresciuto di un milione di persone. Di circa 17,6 milioni di salariati francesi hanno percepito lo SMIC 3,1 milioni. I numeri dicono che l’impatto dell’adozione del salario minimo in Francia nell’arco temporale indicato è stato, più che di difendere le fasce di lavoro “povero” quello di aumentare il numero di lavoratori a cui si applica il salario minimo legale, con conseguente depotenziamento della contrattazione collettiva e appiattimento dei salari.

Queste notizie rafforzano la convinzione,  comune per lungo tempo a tutti i sindacati italiani, che l’adozione del salario minimo legale potrebbe produrre effetti collaterali poco desiderabili. Se occorre però uno strumento di legge per difendere i contratti collettivi che stante la loro attuale natura giuridica sono destinati a soccombere di fronte all’articolo 36 della Costituzione, la soluzione migliore è quella di dare attuazione all’articolo 39.

I RESIDUI DEL CORPORATIVISMO FASCISTA

Nello stesso tempo è anche necessario, se si conviene sulla libertà di contrattazione, eliminare dal testo i residui del corporativismo fascista e stabilire regole chiare  concordate secondo cui ogni contratto collettivo sottoscritto, di natura aziendale o associazioni d’impresa, se liberamente votato dalla maggioranza dei lavoratori o dai loro rappresentanti assume efficacia erga omnes, cioè di legge.

Si può obiettare che stabilire per legge regole di democrazia sindacale può portare anche una singola organizzazione, un sindacato autonomo o gruppi massimalisti (o almeno ritenuti tali) alternativi alle organizzazioni sindacali tradizionali, ad assumere posizioni di maggioranza all’interno di una azienda o di un settore. Ma  è un rischio che si deve correre a condizione che chi guida una trattativa e sottoscrive o meno un accordo, deve assumersene la responsabilità. Lo stesso vale per i lavoratori che, se sbagliano le loro scelte, ne pagano inevitabilmente le  conseguenze.

LE ALTRE CRITICITÀ

Del resto altre criticità si delineano all’orizzonte, a partire da quello che possiamo definire il processo di graduale statalizzazione delle retribuzioni e, cosa ancor più preoccupante, di fiscalizzazione dei contributi previdenziali come è avvenuto nelle ultime due finanziarie  che ha interessato percettori di redditi lordi fino a 25.000 euro e in parte fino a 35.000.

La fiscalizzazione di contributi e Irpef, se deve essere coperta senza aumentare il deficit dello Stato, rischia di provocare un aumento di imposizione fiscale per chi è sopra i 35.000 euro. Il lavoro dipendente regolato da CCNL e dalla contrattazione di secondo livello è insidiato in particolare per le figure medio-alte dal sistema fiscale, solo in parte compensato da detassazione dei premi di risultato e dai fringe benefits del welfare aziendale. In assenza di una forte e diffusa contrattazione articolata fondata su produttività, qualità e risultati d’impresa in grado di ripristinare corretti differenziali nella scala retributiva, il potere d’acquisto delle retribuzioni medie e medio alte viene intaccato e porta a politiche di superminimi erogati direttamente dai datori di lavoro.

Così il sindacato, tra trappola costituzionale e statalizzazione del salario, rischia di perdere la  funzione più importante, quella di autorità contrattuale, e di indebolire la sua capacità di rappresentare tutti i lavoratori, che ne costituisce anche l’identità e ne garantisce la coesione interna. L’attuazione dell’articolo 39, affidandone al CNEL la nuova formulazione , accompagnata dalla diffusione di politiche contrattuali articolate che oltre alla difesa dall’inflazione valorizzino il merito e la responsabilità, può essere una risposta efficace.

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