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Salario Minimo

Tutti i problemi del salario minimo per legge

Il salario minimo orario lordo e l’articolo 39 della Costituzione. L'analisi di Walter Galbusera, già leader sindacale nella Uil e ora presidente della Fondazione Anna Kuliscioff.

 

Il dibattito sul salario minimo orario lordo (SMOL) il cui valore  si è attestato (non si capisce bene perché) su 9 euro orari, pare trasformarsi in una battaglia campale tra la minoranza del Parlamento e la maggioranza di  governo, in difficoltà a fornire efficaci soluzioni alternative. La “campagna dei 9 euro” è una iniziativa ben orchestrata, volta in realtà non tanto alla determinazione del salario minimo, ma all’aumento delle retribuzioni, attingendo anche al bilancio dello Stato. Questa linea proseguirebbe il processo di statalizzazione del salario già iniziato con la riduzione del cuneo fiscale, e non è difficile prevederlo, troverebbe la sua apoteosi con il progetto di flat tax salviniana estesa  al lavoro dipendente. Peccato che lo stato della finanza pubblica non lo consenta.

QUANDO SERVE IL SALARIO MINIMO LEGALE, E QUANDO NO

Il salario minimo stabilito per via legale è, in quanto tale, uno strumento efficace se  circoscritto a situazioni patologiche che interessano una larga minoranza del lavoro dipendente:  questo va detto anche per riconoscere  il lavoro importante svolto dalle organizzazioni sindacali. Se si vuole risolvere il problema del lavoro “povero” provocato da retribuzioni annuali insufficienti  ( a causa di part-time involontario, di rapporti di lavoro non regolati da contratti, di contratti a breve termine) è necessario ben altro. Il salario minimo orario lordo in questi casi serve a ben poco. Ha ragione il segretario della FIM-Cisl Roberto Benaglia  a giudicare la proposta di salario minimo ”pericoloso per il governo della contrattazione”. C’è un’emergenza salariale complessiva, ma quel che manca è  una politica economica, fiscale e, soprattutto, sindacale volta a far crescere la produttività anche attraverso una grande campagna di contrattazione aziendale e territoriale.

IL RISCHIO DEL SALARIO A 9 EURO L’ORA

Se il salario minimo orario lordo (SMOL) assolva o meno la sua funzione dipende dal valore monetario stabilito (soggetto ad aggiornamento) che in Europa corrisponde al 60% del salario mediano di ciascun paese. La domanda è se il valore di 9 euro lordi  nella realtà italiana corrisponde a quella percentuale che  altri paesi utilizzano come valore di riferimento. La risposta, sulla base delle statistiche fornite dall’Istat alla Commissione Lavoro della Camera (salario orario mediano  pari a 12,8 euro) è no, perché il minimo corrisponde a 7,66 euro.

Se si adottassero i 9 euro come SMOL su tutto il territorio nazionale correremmo il rischio di allargare il mercato nero del lavoro in alcune aree del paese senza essere realisticamente in condizioni di contrastarlo, almeno nel breve-medio periodo, con efficaci strumenti di repressione o con politiche contrattuali di emersione. Esclusa la possibilità di differenziare il valore del salario minimo a livello territoriale esistono due sole possibilità razionali per  determinare il valore dello SMOL. La prima è quella di indicarlo attraverso il rapporto percentuale sul salario mediano adottato in Europa . La seconda, che farebbe uscire dall’angolo la maggioranza di governo e che soprattutto restituirebbe al sindacato la funzione di autorità di governo della politica salariale è quella dell’articolo 39 della Costituzione: i minimi coincidono con quelli indicati nei contratti sottoscritti dal sindacato e approvati dai lavoratori. La sfida sta però nella necessità di modificare in parte il testo attuale dell’articolo 39, la cui l’impraticabilità  è stata provocata da alcuni errori di impostazione dei costituenti che sottovalutarono  l’incompatibilità di una libera contrattazione con un rigido modello di categorie contrattuali mutuate dal sistema corporativo del regime fascista. Non è un caso che il ritorno di attualità di questa norma costituzionale torna al centro dell’attenzione anche per il contrasto ai contratti “pirata”.

Il presupposto di queste considerazioni parte dalla ragionevole convinzione che l’attuazione  del “39”potrà rafforzare il sindacato conferendogli, come era nelle intenzioni dei Costituenti un ruolo di  fonte di produzione giuridica con  le responsabilità che ne conseguono.

I dubbi sindacali, che rifiutano  la “registrazione” come un controllo indebito  non sono comprensibili perché una semplice “registrazione”,  accompagnata dalla condizione di avere uno statuto interno a base democratica,  non può essere interpretata come una illecita interferenza nel momento in cui il sindacato esercita una funzione istituzionale attribuitagli dalla Costituzione. Apparirebbe invece come la pretesa autoreferenziale di collocare il sindacato in un’area di extraterritorialità non sottoposta ad alcun controllo.

L’ARTICOLO 39

Ma la oggettiva necessità del “39”che ha sancito la libertà di contrattazione è anche quella di offrire una soluzione a un nodo essenziale della vita democratica dei sindacati, costituito dall’accertamento formale dei requisiti congiunti di rappresentanza,  rappresentatività e  democraticità  necessari e sufficienti a garantire l’efficacia obbligatoria “erga omnes”dei contratti, mentre i lavoratori e loro legittime rappresentanze esercitano un ruolo diretto di partecipazione e di decisione.

Cosa è sostanzialmente cambiato dal 1948 ad oggi per rendere obsoleta una parte dell’art.39 ? Essenzialmente due elementi:

  1. a) Il principio della rappresentanza unitaria misurata sugli iscritti nella prassi si è estesa a tutti i lavoratori: la legge che misura la rappresentanza sindacale del pubblico impiego è oggi il modello di riferimento. Per i settori privati è possibile misurare la effettiva rappresentatività di ciascuna organizzazione attraverso l’INPS.
  2. b) Il concetto di categoria è divenuta una libera scelta che ha prodotto la moltiplicazione dei contratti di categoria, azienda e settore.

La soluzione possibile è una modifica costituzionale limitata  all’ultimo comma  riaffermando che “I sindacati possono, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per i lavoratori interessati  ma rinviando la regolamentazione ad una legge ordinaria di attuazione che dovrebbe essere oggetto di un confronto, magari in sede CNEL, con le organizzazioni sindacali e imprenditoriali per individuare le procedure di accertamento della rappresentatività di tutti i soggetti interessati. Uno degli effetti, anche se non il più importante, sarebbe il superamento dello  stato di incertezza nella determinazione del salario minimo orario lordo.

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