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Tutti i nodi dell’imposta sugli extraprofitti delle banche

Imposta sugli extraprofitti delle banche: le decisioni e le indecisioni del governo, le interlocuzioni del ministero dell'Economia, il parere della Bce, la posizione dell'Abi e dell'Antitrust, il nodo titoli di Stato. Fatti e approfondimenti

Potrebbe aver già imboccato il binario morto la tassa sugli extraprofitti delle banche, accolta con palese avversione dal mondo del credito e anche da una certa parte del governo Meloni. Ieri, in audizione al Senato proprio sul dl Asset – che all’articolo 26 contiene la norma in questione – l’Abi presieduta da Antonio Patuelli e guidata dal direttore generale Giovanni Sabatini (nella foto con Patuelli) ha mostrato con forza la propria contrarietà (gli extraprofitti “non ci sono”, la tassa è un “vulnus alla fiducia sul mercato italiano”, “la norma andava sottoposta al parere preventivo della Bce”) mentre poco prima il presidente dell’Antitrust, Roberto Rustichelli, aveva ripetuto la sua proposta (lanciata la settimana scorsa dalle colonne del Sole 24 Ore) per eliminare i possibili effetti distorsivi dall’introduzione dell’imposta ma riconoscendone l’ispirazione all’insegna dell’equità sociale.

Negli ultimi giorni, peraltro, il dibattito si era spostato sul timore che l’imposta potesse danneggiare i titoli di Stato. Nel frattempo è arrivato il parere della Bce sul tributo extra deciso dal governo.

Ecco tutti i dettagli.

IL PARERE DELLA BCE SULLA NUOVA IMPOSTA PER LE BANCHE

“Il decreto-legge prevede che l’imposta straordinaria abbia natura di una tantum. A tale riguardo la Bce ha raccomandato in precedenza che e’ necessaria una chiara separazione tra la natura straordinaria dei proventi e le risorse di bilancio generali di un governo per evitarne l’uso a fini generali di risanamento di bilancio”. E’ quanto si legge nel parere sulla tassa sugli extraprofitti delle banche pubblicato oggi dalla Bce.

LA TUTELA DEI TITOLI DI STATO

Come scritto, tra l’altro, da Repubblica, al ministero dell’Economia si starebbe pensando di attivare lo scudo sui Btp. Il nuovo impianto del prelievo, infatti, dettato dal ministro Giancarlo Giorgetti – che in tal modo potrebbe riprendersi la scena sulla vicenda, che ha visto a Palazzo Chigi il suo epicentro – sposterebbe “il baricentro dall’attivo a quello ‘ponderato’ per il rischio. Un perimetro dove i titoli pubblici in pancia alle banche non pesano, risultando così estranei alla tassazione. Ne uscirebbero meno colpite anche le banche che erogano più credito”. Ci sarebbe un “ma” ovvero il taglio dell’incasso previsto, che potrebbe calare da 2-2,5 miliardi ad 1, cifra ben lontana dai 4-5 miliardi auspicati dall’esecutivo quando la tassa era stata annunciata.

IL DIBATTITO SU STARTMAG

 Sulla questione si è registrato anche uno scambio di opinioni indiretto su Startmag. Come ha scritto il commercialista e analista finanziario Giuseppe Liturri, a fine agosto “sul Sole 24 Ore campeggiava il titolo ‘Extraprofitti e banche, rischio boomerang sui titoli di Stato’, seguito a ruota domenica da un’intervista in cui il ministro degli esteri e vicepremier Antonio Tajani ha chiesto di escludere dalla tassa sugli extraprofitti i titoli di Stato e le piccole banche, aderendo alla tesi del rischio per i TdS”. Secondo Liturri, però, non è ragionevole pensare che le banche “disertino le prossime aste dei titoli, cosa che invece è già avvenuta negli ultimi 12 mesi. Anzi è prevedibile che acquistino nuovi titoli per beneficiare delle cedole a tassi più alti”. Inoltre sembra “eccessivo il peso attribuito al rischio per gli investitori derivante dal paventato pericolo di cambi di tassazione ad opera ‘del governo di turno’. Infatti anche questo è un allarme ingiustificato perché la Costituzione pone dei precisi limiti, ben interpretati dalla Corte solo pochi anni fa. Siamo ancora uno Stato di diritto, dove non basta un DPCM per imporre una tassa”.

In definitiva, “ci sono tanti validi argomenti per cominciare la partita del negoziato tra Stato e banche, ma questa entrata a gamba tesa sui titoli di Stato è da cartellino ‘rosso’ diretto. Sembra più un ricatto di qualche banchiere arrabbiato per i (modesti) tagli che subiranno i dividendi per i suoi azionisti”.

Di segno opposto l’intervento di Alberto Franceschini Weiss, presidente di Ambromobiliare, società di consulenza in finanza strategica.

A parere dell’esperto, infatti, “ciò che indubbiamente sarà oggetto di ridimensionamento saranno i titoli di Stato, ridimensionamento che è già iniziato da tempo”. Weiss ha citato proprio Liturri, secondo cui “a maggio 2022 le banche possedevano 428 miliardi di titoli di Stato, importo che a maggio 2023 si era già ridotto a 405 miliardi. L’idea che adesso le banche riprendano gli investimenti in titoli di Stato per beneficiare di ‘tassi più alti’ è illogica e antieconomica: le altre asset class rendono molto di più e il sistema bancario, colpito nel proprio ‘core business’ sarà sempre meno propenso a seguire iniziative provenienti da chi non sostiene la valenza sistemica del proprio ruolo. Se tale riduzione era già iniziata, questo provvedimento accelererà ancor di più il processo”.

Per Weiss un altro fattore “che contribuirà a ridurre il sostegno delle banche verso il debito pubblico è l’affermazione sempre maggiore di tante Fintech e banche digitali che non investono per definizione in titoli: grazie alle nuove tecnologie digitali e ad algoritmi sofisticati applicati ai sistemi di credit scoring, molte nuove banche (Banca Progetto, Banca CF Plus, Banca del Fucino, Isy Bank, Illimity etc.) stanno sostenendo l’economia reale del paese con finanziamenti strutturati per i quali la raccolta del denaro viene ottenuta quasi esclusivamente attraverso la cessione di ‘pacchetti’ di finanziamenti direttamente ai grandi fondi che in tal modo investono in titoli che rendono molto più dei titoli di Stato pur avendo rating quasi equivalenti”.

 

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