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Banche

Quali saranno gli effetti dell’imposta straordinaria sulle banche

L'intervento di Alberto Franceschini Weiss, presidente di Ambromobiliare, società di consulenza in finanza strategica.

 

Egregio direttore, faccio seguito all’articolo pubblicato a firma Giuseppe Liturri il 30 agosto, per segnalarle alcune riflessioni.

In primo luogo, stiamo parlando di un Decreto che dovrà ancora essere convertito in legge e che però ha già raccolto non solo le proteste del mondo delle banche e degli investitori istituzionali che hanno investito in azioni delle banche italiane, ma anche della stessa compagine governativa e non ultima la BCE che, sulla base di una richiesta di parere ufficiale inviata d’iniziativa dal MEF ai sensi dell’attuale normativa bancaria europea, avrebbe espresso una netta censura al provvedimento in quanto potenzialmente dannoso per l’economia e il credito italiano.

Il tutto senza tener conto dei possibili rilievi di incostituzionalità che alcuni giuristi stanno paventando.

Tralasciando gli aspetti giuridici, sui quali persone ben più preparate del sottoscritto stanno già versano fiumi d’inchiostro e Gigabyte di parole, mi limito a trasferirLe alcune precisazioni, non in difesa delle banche, ma come analisi degli effetti di una manovra concepita senza i dovuti approfondimenti.

Intanto introduciamo l’argomento: il progetto di legge oggetto di queste discussioni riguarda una tassazione aggiuntiva a quella ordinaria, volta a colpire i cd “extraprofitti” che le banche starebbero ottenendo prestando denaro a tassi in linea con l’incremento dei tassi voluti dalla BCE ma approvvigionandosi di denaro a costi ancora a livelli ante rialzo dei tassi; il governo, rilevando una “forbice” che si è allargata ben oltre il fisiologico 4% tra costo della raccolta e interessi attivi applicati ai finanziamenti, ha reputato che il sistema bancario “ci stia marciando sopra” e fa utili a palate, come peraltro evidenziato dalle trimestrali chiuse al 31 Marzo 2023. In relazione a ciò, il governo ha stabilito l’introduzione di una tassa la cui base imponibile è costituita dal “maggior Margine di Interesse” in proporzione a ciò che, in linea teorica le banche dovrebbero avere se alzassero la remunerazione dei depositi con la medesima proporzione con cui hanno alzato gli interessi sui prestiti:

  1. in particolare, l’articolo 26 del Decreto Legge n. 104 del 10 agosto 2023 spiega che l’imposta straordinaria avrà come base imponibile l’incremento maggiore del margine d’intermediazione realizzato dalle banche tra il 2021 e 2022, su cui si applica una franchigia del 5 per cento, e quello fra il 2021 e il 2023, su cui si applica una franchigia del 10
    e
  2. come aliquota il 40%

A mitigare l’impatto, è previsto che tale tassa non potrà in ogni caso eccedere lo 0,1 % del totale attivo della banca e la scadenza per il versamento viene fissata al 30 giugno 2024. Peraltro, il comma 5 dell’articolo 26 prevede l’indeducibilità dell’imposta straordinaria dalle imposte sui redditi e dall’IRAP. La lettura del testo – in prima approssimazione – è che saranno colpite solo le banche che hanno rialzato i tassi sui prestiti mentre non hanno rialzato gli interessi sui depositi, quindi è una base imponibile “mobile”; in secondo luogo, è stato posto un tetto, pari allo 0,1% del totale dell’attivo della banca.

In conclusione, non solo le banche pagheranno più tasse perché fanno più utili (che sono sempre imponibili), ma avendone fatti troppi nel loro “core business” (cioè quello dei prestiti), si beccheranno un’ulteriore mazzata. Se ne avessero fatti di più solo elevando le commissioni, nessuno avrebbe avuto alcunché da ridire..

Passando al possibile gettito, ipotizzando di prendere come riferimento le indicazioni degli analisti finanziari sui dati previsionali relativi al margine d’interesse 2023 per Intesa Sanpaolo, la tassa sugli extraprofitti dovrebbe essere intorno a 1,5 mld di Euro circa, importo che mitigato dal “tetto”, si ridurrebbe a soli 6/700 milioni circa. Rebus sic stantibus, ciò significa che le prime 4 banche italiane contribuirebbero ad oltre il 100% del gettito ipotizzato…

Un importo così rilevante sarà sicuramente pagato a fronte di contromisure aziendali che ciascuna banca attuerà sia per ridurre sia l’esborso in senso assoluto, sia far cassa e pagare tale “balzello” senza distogliere risorse dall’attività ordinaria. La prima manovra sarà riequilibrare il mix degli impieghi verso asset class più remunerativi: si ridurranno gli impieghi a rendimenti bassi e si privilegeranno quelli a maggior margine. Ovviamente ad essere ridotti saranno i titoli di Stato, mentre a diventare prioritari saranno i prestiti alle microimprese e alle famiglie, in particolare i prestiti al consumo. La seconda manovra sarà di spostare i ricavi sulle commissioni, visto che è la componente di ricavo esente dalla tassa.

Partendo dal mix degli impieghi, dall’introduzione di “Basilea 2” le banche ormai ragionano sulla base di asset class e di assorbimento di capitale relativo a ciascuna asset class. In sostanza le banche devono accantonare figurativamente quote di patrimonio netto in proporzione al rischio assunto, valutato attraverso lo strumento del rating. Se è vero che gli investimenti in titoli di Stato hanno un assorbimento di capitale pari a zero, in quanto il rating è massimo, è anche vero che il loro rendimento netto è inferiore al 3%, perché nel portafoglio delle banche ci sono ancora molti titoli aventi rendimenti vicini allo zero e non oggetto di svalutazione mark-to-market. Al contrario i finanziamenti alle microimprese, ed in particolare quelli garantiti dallo Stato all’80% tramite Mediocredito Centrale o SACE, hanno rendimenti superiori al 6%; inoltre assorbono poco capitale, in quanto hanno un rating molto alto grazie appunto al fatto che sono quasi completamente garantiti dallo Stato. Dall’altro lato, anche i finanziamenti al consumo, pur non avendo il “back-up” delle garanzie statali, possono rendere anche oltre il 9%, con un assorbimento di capitale modesto, perché sono finanziamenti molto frazionati, di importo molto piccolo, dove l’analisi di credito dei beneficiari è basato su algoritmi statistici che vanno dall’analisi della dichiarazione dei redditi e del patrimonio fino allo stato di famiglia ed alla zona di residenza, il che permette di avere un rating molto buono che rende questa asset class estremamente redditizia.

Se poi consideriamo che i margini da commissioni non sono toccati dalla tassa sugli extraprofitti, ci troveremo ad avere un incremento generalizzato delle commissioni attive. in linea teorica, potremmo addirittura trovarci di fronte prestiti offerti dalle banche alla clientela avente il medesimo TAEG attuale ma con interessi nominali più bassi a fronte di commissioni una tantum molto più elevate.

Ciò che indubbiamente sarà oggetto di ridimensionamento saranno i titoli di Stato, ridimensionamento che è già iniziato da tempo: secondo l’articolo di Liturri, a maggio 2022 le banche possedevano 428 miliardi di titoli di Stato, importo che a maggio 2023 si era già ridotto a 405 miliardi. L’idea che adesso le banche riprendano gli investimenti in titoli di Stato per beneficiare di “tassi più alti” è illogica e antieconomica: le altre asset class rendono molto di più e il sistema bancario, colpito nel proprio “core business” sarà sempre meno propenso a seguire iniziative provenienti da chi non sostiene la valenza sistemica del proprio ruolo. Se tale riduzione era già iniziata, questo provvedimento accelererà ancor di più il processo.

Altro fattore che contribuirà a ridurre il sostegno delle banche verso il debito pubblico è l’affermazione sempre maggiore di tante Fintech e banche digitali che non investono per definizione in titoli: grazie alle nuove tecnologie digitali e ad algoritmi sofisticati applicati ai sistemi di credit scoring, molte nuove banche (Banca Progetto, Banca CF Plus, Banca del Fucino, Isy Bank, Illimity etc.) stanno sostenendo l’economia reale del paese con finanziamenti strutturati per i quali la raccolta del denaro viene ottenuta quasi esclusivamente attraverso la cessione di “pacchetti” di finanziamenti direttamente ai grandi fondi che in tal modo investono in titoli che rendono molto più dei titoli di Stato pur avendo rating quasi equivalenti.

Ultima considerazione: i cd “extraprofitti” non sono così “extra” nel significato classico di profitti che eccedono quelli normali perché, se si guarda al rapporto Prezzo Azione/Patrimonio Netto Contabile (cioè il P/BV) delle banche italiane quotate, emerge chiaramente come siano (quasi) tutte abbondantemente sotto all’unità: significa che l’attuale redditività non è ancora soddisfacente rispetto al capitale di rischio immesso nel tempo.

Il mondo della finanza si sta sofisticando sempre più, purtroppo abbiamo una parte della classe politica italiana che è rimasta ancorata ad una visione del sistema bancario che “campa con lo sterco del diavolo” sulla pelle dei poveri debitori indifesi.

Con i più cordiali saluti.

Alberto Franceschini Weiss

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