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Partecipazioni Statali Borsa

Perché Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm e Bper ruzzolano in Borsa

Borse europee in flessione in borsa dopo il caso Credit Suisse, che segue la liquidazione della Silicon Valley Bank. Che cosa è successo a Piazza Affari ai titoli Unicredit, Banco Bpm e Bper

 

Banche in tensione in Borsa e mercati in fibrillazione dopo il caso Credit Suisse, che segue il crack della Silicon Valley Bank. Ecco tutti i dettagli.

CHE COSA È SUCCESSO NELLE BORSE EUROPEE

Le Borse europee sono in caduta libera con lo Stoxx 600, l’indice che raccoglie le principali società quotate, in calo del 2,7%. La corrente di vendite è alimentata dal crollo in Borsa di Credit Suisse (-22%), dopo che il principale azionista Saudi National Bank ha escluso la possibilità di fornire altro supporto finanziario in caso di richieste di liquidità.

Le vicende della banca svizzera si sono abbattute sul comparto delle banche provocando un calo del 6,2%. Tra i principali listini, Parigi e Milano cedono il 3,4%; Madrid segna un -3,7%, Francoforte un -2,7% e Londra un -2,3%. Tra le banche, Société Générale e Bnp Paribas perdono il 10%.

IL RUOLO DI CREDIT SUISSE

Con il caso Silicon Valley Bank ancora caldo e lo sguardo (preoccupato) rivolto alla riunione della Bce che giovedì 16 marzo dovrà decidere sul nuovo rialzo dei tassi, sul mercato si è abbattuto il caso Credit Suisse con il suo crollo di oltre 20 punti percentuali alla notizia che la sua principale azionista, la Saudi National Bank, ha escluso – come detto – eventuali interventi in caso fosse necessaria nuova liquidità.

LE DISCESE DI UNICREDIT, BANCO BPM E BPER

Il Ftse ha perso il 3,16% a 25.934 punti, con le vendite che colpiscono duramente i titoli del comparto bancario: Unicredit lascia il 6,60%, Intesa -6,54%, Bper -6,06%, Banco Bpm -5,69%. Tra gli altri finanziari, Generali arretra del 6,61%.

CHE COSA SUCCEDE A CREDIT SUISSE

La Banca nazionale saudita è diventata la principale azionista di Credit Suisse a novembre, con un aumento di capitale lanciato per finanziare un’importante ristrutturazione della banca. Alla domanda di Bloomberg TV se l’establishment saudita potesse investire di più nell’istituto, il suo presidente, Ammar al-Khudairy, ha chiaramente escluso questa opzione. “La risposta è assolutamente no”, ha detto, “per diversi motivi oltre a quelli più semplici, che sono normativi e statutari”.

Da parte sua, il presidente di Credit Suisse, Axel Lehmann, ha affermato che l’istituto non ha bisogno di aiuti governativi. “Non è un problema”, ha sottolineato in una conferenza per il settore bancario in Arabia Saudita. “Abbiamo rapporti finanziari solidi, un bilancio solido”, ha insistito, assicurando che l’istituto ha già “la medicina” di cui ha bisogno.

Quanto al capo della banca nazionale saudita, ha tenuto a precisare che “attualmente deteniamo il 9,8% della banca. Se superiamo il 10%, entrano in vigore una serie di nuove regole” e “non siamo propensi a entrare in una nuova normativa”. Secondo il diritto svizzero la Finma, l’autorità di vigilanza del mercato finanziario, deve decidere se l’azionista di una grande banca può superare la soglia del 10%.

COSA PREVEDE LA LEGGE SVIZZERA

La legge svizzera sulle banche prevede che “le persone fisiche o giuridiche che detengono in una banca, direttamente o indirettamente, almeno il 10 per cento del capitale o dei diritti di voto” devono dare “la garanzia che la loro influenza non sia suscettibile di essere esercitata a scapito di una prudente e sana gestione della banca”.

Il superamento della soglia del 10% nella seconda banca svizzera potrebbe suscitare scalpore nel Paese alpino, dal momento che gli azionisti hanno già visto diluirsi la loro partecipazione durante l’aumento di capitale e continuano a veder crollare il valore del collocamento. Oggi il titolo ha perso fino al 23,6%, raggiungendo un nuovo minimo storico a 1,707 franchi svizzeri. Il titolo ha perso oltre l’83% del suo valore dal fallimento della società finanziaria britannica Greensill, che ha segnato l’inizio di una serie di scandali che hanno indebolito la banca. Alcuni azionisti hanno finito per gettare la spugna, come la società d’investimento americana Harris Associates, storicamente sua maggiore azionista, che ha rivelato la scorsa settimana di aver completamente venduto la sua partecipazione nella banca.

All’inizio di febbraio Credit Suisse ha annunciato una perdita netta di 7,3 miliardi di franchi svizzeri (quasi 7,4 miliardi di euro) per l’anno finanziario 2022 sullo sfondo di massicci prelievi di fondi dai suoi clienti e ha avvertito di aspettarsi ancora una perdita ante imposte “sostanziale” nel 2023. Da allora la banca ha continuato ad accumulare battute d’arresto. Ieri il titolo era già scosso in Borsa quando la banca ha ammesso “sostanziali debolezze” riguardo ai suoi controlli interni per i suoi rendiconti finanziari.

LE RASSICURAZIONI DEL MINISTRO GIORGETTI

“Le banche italiane sono solide. Le regole del nostro sistema bancario sono diverse da quello americano”. Così ha risposto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, a margine di un convegno sul bonus fiscale a Roma, a chi gli chiedeva se fosse preoccupato per il sistema bancario italiano dopo il fallimento di Svb.

LA QUESTIONE DEI BOND

Oltre a una questione di regole – come indicato dal titolare del Tesoro -, la condizione complessiva delle banche europee, e anche dunque di quelle italiane, è diversa non solo per la più occhiuta vigilanza della Bce rispetto alla Fed, ma anche alla questione dei titoli di Stato in portafoglio degli istituti di credito italiani: pur avendo un peso rilevante, le banche li considerano invendibili prima della scadenza e dunque non ci sono di fatto minusvalenze latenti, anche se i tassi sono nel frattempo saliti.

DOSSIER BOND

Le banche italiane sono tra le più esposte ai titoli governativi: a gennaio Bankitalia censiva 384 miliardi di euro in titoli del Tesoro più 200 miliardi di altri bond. E ogni volta che sale il tasso Bce, questi titoli rendono di più ma si deprezzano in bilancio. Ma il conto è solo virtuale: i grandi istituti coprono con derivati l’intera volatilità dei loro Btp, e il 55% dei bond governativi del settore è cristallizzato in bilancio fino alla scadenza, quando è rimborsato alla pari. Certo, se a causa di una fuga dei depositi le banche italiane dovessero vendere i bond per finanziarsi, le perdite si concretizzerebbero, sottolinea Repubblica: “Ma è uno scenario che Kepler martedì definiva «altamente improbabile, a fronte della liquidità in eccesso di cui dispongono», misurata dall’indice Lcr che in Europa è mediamente al 167%, e per i grandi gruppi Intesa Sanpaolo, Banco Bpm, Bper anche superiore (mentre Unicredit è poco sotto la media)”. Lo scorso autunno l’Eba, altro corno della vigilanza europea che dalla crisi 2012 è di gran lunga la più occhiuta e la più criticata dai vigilati, simulò le perdite connesse alla vendita di tutti in bond bancari agli attuali livelli di tassi. Un’ipotetica “liquidazione totale” che brucerebbe il 5% del capitale bancario medio: ma la stessa Eba allora indicava perdite entro il 15% il limite di sicurezza. Lo ha ricordato Barclays in una nota, in cui conclude che «il settore appare forte dal punto di vista del capitale».

LE ANALISI RECENTI

Solo un mese fa le banche italiane parevano in mezzo alla «più dolce luna di miele degli ultimi 15 anni per prospettive di utili e solidità patrimoniale», citando l’ufficio studi di Citi, un colosso di Wall Street. Gestioni prudenti, utili e cedole crescenti, poche perdite su crediti (anche perché dopo il lockdown lo Stato le sgravò delle peggiori) e una nuova “forbice” sui tassi che si allargava sempre più, sfruttando i rialzi della Bce per rincarare le rate dei prestiti (i mutui casa sono ormai al 3,9% medio) mentre gli interessi medi sugli oltre mille miliardi dei correntisti a dicembre erano ancora dello 0,12%. Tutti in Borsa le compravano, e l’indice Ftse Italia banche da inizio ottobre era balzato del 63%.

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