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Tesoro, davvero Rivera è un pupillo di Draghi?

Che cosa si bisbiglia al ministero dell'Economia su un articolo di Repubblica che parla del presente e del futuro del direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, alle prese con il cambio di governo

 

Rivera pupillo di Draghi? Hai letto?!

Domande e stupori del genere si rincorrono tra i messaggi privati di funzionari ministeriali e nei corridoi del ministero dell’Economia.

Le domande nascono da un articolo del quotidiano Repubblica di oggi in cui si racconta che il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, sarebbe in bilico con il cambio dell’esecutivo.

Se il ministro dell’Economia, il leghista Giancarlo Giorgetti, non sarebbe contrario a una riconferma di Rivera – ma sulla saldezza delle posizioni e delle opinioni dell’esponente leghista molti hanno perplessità – Fratelli d’Italia e il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, gradirebbero un avvicendamento.

Ma In riferimento alle indiscrezioni di Repubblica sulla mancata riconferma del direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera, il ministro dell’Economia fa sapere all’agenzia Ansa – attraverso il suo staff – che si sta occupando di altro: ci sono Nadef, legge di bilancio e bollette tra le priorità.

Nell’elogio di Rivera da parte del quotidiano diretto da Maurizio Molinari, il giornale del gruppo Gedi scrive che c’è un “addebito che Fratelli d’Italia imputa a Rivera: aver gestito male i dossier su Ita, Ferrovie e concessioni autostradali”.

In verità, si bisbiglia da tempo nel dicastero di via Venti Settembre e a Palazzo Chigi, l’ex premier Mario Draghi non avrebbe apprezzato molto l’operato della direzione generale del Tesoro considerati stallo, caos e incertezze su partite rilevanti legate a grandi società controllate dal Tesoro come Mps (lo Stato si appresta a un ennesimo salasso peraltro non sufficiente visto che le fondazioni bancarie vigilate dallo stesso Tesoro stanno facendo una sorta di colletta per entrare nel capitale del Monte fra interrogativi e dubbi, tanto che Cariverona ha detto no), come Ita (con il Tesoro che non è riuscito o non ha voluto comporre una spaccatura inusitata fra presidente, amministratore delegato e consiglieri di amministrazione con una guerra legale che sta coprendo di ridicolo, in verità, non solo il Mef) e come il nuovo assetto di Aspi, in cui ora l’attuale maggioranza di governo sta scoprendo patti parasociali sbilanciati a favore di fondi esteri.

D’altronde per parlare di codeste faccende Draghi mandava il suo consigliere economico Francesco Giavazzi con i vertici della direzione generale del Tesoro, si mormora fra i draghiani.

Per questo la parte dell’articolo di Repubblica che sta suscitando stupore nei corridoi del Mef è un’altra. Ed è quella in cui si definisce Rivera “pupillo di Draghi”. Tanto più che l’attuale direttore generale entrò per concorso come funzionario al Tesoro nel 2000, qualche settimana prima che Draghi lasciasse proprio la direzione generale del Tesoro.

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ESTRATTO DELL’ARTICOLO DI REPUBBLICA SU RIVERA:

Passato indenne attraverso tre governi, in particolare quello giallo-verde che avrebbe voluto cacciarlo dopo pochi mesi, ora dovrebbe fare le valigie. Insieme all’intera prima linea di comando del Mef. E proprio alla vigilia di una manovra di bilancio che si preannuncia come la più complessa degli ultimi anni. D’altronde Matteo Salvini gliel’aveva giurata. Riuscendo oggi nell’impresa che mancò cinque anni orsono quando il premier era Giuseppe Conte e non Giorgia Meloni, forse più decisa di lui a far piazza pulita di tutti i grand commis che odorano anche lontanamente di centrosinistra.

È questo il sospetto che aleggia, tra Palazzo Chigi e il Mise, sull’uomo che conosce fino ai più reconditi angoli di Via XX Settembre per averli battuti palmo a palmo e poi scalati sino a raggiungere la vetta, nel corso di una carriera costruita in prevalenza dentro al dicastero dell’Economia. Anche se, a ben guardare, c’è pure un altro addebito che Fratelli d’Italia imputa a Rivera: aver gestito male i dossier su Ita, Ferrovie e concessioni autostradali.

Stimato da tutti i ministri, anche di centrodestra, che si sono succeduti alla scrivania di Quintino Sella — da Giulio Tremonti a Vittorio Grilli — fino all’ultimo l’economista 52enne è stato dato per inamovibile. Una scelta di continuità necessaria con la gestione draghiana dei conti pubblici, messi a repentaglio dalla recessione alle porte e dagli strascichi di una guerra che non accenna a finire. O almeno così gli aveva assicurato Giancarlo Giorgetti qualche giorno fa, allorché gli ha spiegato che sì, questa era la sua intenzione, ma di non essere sicuro che glielo avrebbero lasciato fare.

Ebbene, pare che alla fine del braccio di ferro il ministro leghista abbia avuto la peggio: il direttore generale del Tesoro, pupillo di Draghi, colui che insieme a Francesco Giavazzi ha trattato tutte le nomine strategiche nelle società partecipate, potrebbe presto essere avvicendato.

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