Le tendenze degli ultimi tre anni suggeriscono di guardare ai cambiamenti nella posizione competitiva delle diverse aree considerando anche le tendenze di fondo, tenendo presenti le spinte protezionistiche che si sono affermate progressivamente già da tempo.
IL DIVARIO EUROPA-USA SUI PREZZI DEL GAS
Un primo aspetto emerso nel dibattito recente è quello delle differenze fra Europa e Stati Uniti in termini di prezzi del gas, e quindi dell’energia. Anche dopo la fase di caduta delle quotazioni degli ultimi trimestri, un punto importante è rappresentato dall’eventualità che per alcuni anni i prezzi del gas possano restare in Europa su livelli più alti che negli Stati Uniti, determinando un gap di competitività rilevante a svantaggio delle imprese europee.
Si tratta di un punto molto incerto. Innanzitutto perché non è facile prevedere quali saranno i costi dell’energia in Europa nei prossimi anni; oltre al tema dell’offerta di gas, che rifletterà anche le relazioni politiche fra i Paesi europei e la Russia, contano anche le politiche di aumento della produzione da fonti rinnovabili e di risparmio energetico che verranno adottate.
In particolare, i temi della transizione verso un’economia a basse emissioni si intersecano con quelli legati alla necessità di aumentare l’indipendenza strategica europea in ambito energetico, spingendo quindi i Governi ad accrescere le risorse dedicate alle fonti alternative, anche in vista della progressiva riduzione del peso delle vetture con motore endotermico.
I SUSSIDI AMERICANI ALL’INDUSTRIA VERDE
La relazione fra la strategia che governa la transizione energetica e la competitività dell’industria dipende da diversi fattori. Innanzitutto, conta il fatto che nei Paesi che completeranno per primi la transizione le imprese godranno dei vantaggi competitivi tipici di quanti innovano i processi di produzione in anticipo rispetto agli imitatori. In secondo luogo, i Governi metteranno in campo risorse per finanziare i costi della transizione, e queste condizioneranno evidentemente la posizione competitiva dell’industria nei diversi Paesi.
Il tema ha acquisito un peso crescente nel dibattito degli ultimi mesi dopo che gli Stati Uniti hanno varato l’Inflation Reduction Act. Il programma ha un budget di 390 miliardi di dollari che verranno investiti negli ambiti della transizione ambientale. Principalmente si tratta di incentivi fiscali a favore delle imprese per promuovere investimenti nelle energie rinnovabili, e in numerose altre aree di intervento, fra le quali l’aumento dell’efficienza energetica degli edifici, incentivi all’acquisto di auto elettriche e riduzioni delle emissioni da parte dell’industria.
L’insieme delle misure adottate è strutturato in modo da rendere vantaggiosi gli investimenti delle imprese e per questo modifica le convenienze relative delle scelte d’investimento, tant’è che è stato interpretato anche come un programma di carattere protezionistico.
LA RISPOSTA DELL’UNIONE EUROPEA
Proprio i possibili effetti sulla competitività hanno quindi sollecitato la risposta delle autorità europee. Nel Consiglio europeo del 9 e 10 febbraio dedicato alla competitività dell’economia europea è stata delineata una strategia di risposta al Piano americano, in modo da orientare le politiche per la transizione ambientale salvaguardando allo stesso tempo la competitività dell’industria europea. Tuttavia, la costruzione di una politica comune si è scontrata con le evidenti difficoltà di finanziamento.
In particolare, sarebbe stato auspicabile uno strumento analogo al NGEu, in grado di raccogliere sui mercati risorse a tassi contenuti, con l’erogazione dei fondi ai diversi Paesi condizionati dal rispetto dei requisiti concordati, in coerenza quindi con gli obiettivi di contrasto al climate change.
D’altra parte, il NGEu è stato un pacchetto orientato dal punto di vista delle risorse soprattutto a favore dell’Italia. Si spiega quindi la difficoltà a proporre un altro intervento di dimensioni grandi, che comporterebbe sforzi aggiuntivi alle economie del centro, soprattutto dell’area tedesca, che già dovranno mobilitare risorse per finanziare gli investimenti necessari al proprio interno. Ne deriva quindi che i Paesi europei con i minori spazi fiscali saranno in difficoltà nel finanziare tutti gli investimenti necessari.
Il tema ha quindi anche riflessi sulla posizione competitiva dei singoli Paesi europei. Difatti, per consentire di finanziare i settori che dovranno sostenere i maggiori costi della transizione energetica si andrà con buona probabilità nella direzione di un allentamento della disciplina europea sugli aiuti di Stato. E questo di fatto permetterà ai Paesi con maggiori spazi nel bilancio pubblico di erogare risorse maggiori ai settori produttivi.
Per ora ci si è limitati a rendere possibile una integrazione del pacchetto REPowerEU all’interno del NGEu, utilizzando le risorse derivanti dai prestiti del NGEu che non erano stati utilizzati, quindi oltre 200 miiardi, che saranno rafforzati con circa 20 miliardi di finanziamenti a fondo perduto. (di cui 2.7 spetteranno all’Italia). Le modalità di integrazione del REPowerEU nei Pnrr saranno definite nei prossimi mesi.
LE CONSEGUENZE PER L’ITALIA
Inoltre, con l’accordo del consiglio europeo i Paesi più deboli come l’Italia hanno ottenuto la facilitazione dei criteri di accesso ai fondi comunitari. Sarà possibile un mutamento nella destinazione di parte delle risorse non utilizzate dei fondi strutturali della precedente programmazione 2014-20, in modo da trasferire più risorse alle imprese che investono nella transizione ambientale. Non è detto che in futuro questo criterio non valga anche per le risorse del Pnrr che i diversi Paesi non saranno in grado di utilizzare.
Nel complesso, l’impressione è che l’enfasi delle politiche europee, che con la pandemia era stata posta soprattutto sui temi della dotazione infrastrutturale in senso ampio, si sta adesso spostando sugli obiettivi del finanziamento della transizione ambientale, e quindi anche delle relative infrastrutture, attraverso una riduzione dei costi che essa comporterà alle imprese, in un’ottica di contrasto alle spinte protezionistiche dell’Inflation Reduction Act americano. È qui evidente anche la disparità nell’ammontare di risorse che possono essere mobilitate ad esempio dal Governo tedesco, rispetto a ciò che potrà essere realizzato da economie come l’Italia, che potranno stanziare risorse per un ammontare relativamente limitato.