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Cosa celano le stime Fmi sull’economia italiana (e su quella russa)

Il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato l’aggiornamento delle previsioni economiche. L'analisi di Giuseppe Liturri

Tanto tuonò che piovve. Il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato l’aggiornamento delle sue previsioni economiche e l’Italia divide con la Germania il non invidiabile primato di vedere il segno negativo davanti alla variazione del PIL prevista per il 2023. Un -0,2% per noi e -0,3% per i tedeschi. La caduta è impressionante, sia rispetto al 2022 e sia, soprattutto, rispetto alle precedenti previsioni.

Se andassimo a guardare la Nota di aggiornamento al Def del settembre 2021 – quando buona parte delle tensioni sui prezzi energetici erano già in atto, ma tutti credevano alla leggenda del fenomeno “transitorio” – la crescita per il 2022 e 2023 era prevista rispettivamente pari al 4,7% e 2,8%. Dopo 12 mesi, il 2022 potrebbe chiudere intorno al 3,2/3,3% ed il 2023 è precipitato al 0,6%, nelle previsioni ottimistiche dal governo Draghi. Perché il Fmi lo ridimensiona al -0,2%. In pochi mesi, si sono volatilizzati quasi 3,5 punti di PIL su due anni. Se si pensa che l’effetto positivo del PNRR sul PIL dovrebbe essere di 3,6 punti a regime nel 2026 rispetto allo scenario base, a noi sono bastati dodici mesi di politiche economiche miopi per distruggere l’equivalente di quanto dovremmo (condizionale d’obbligo) faticosamente accumulare in 5 anni, grazie agli investimenti finanziati dalla UE.

La velocità di caduta è ancora più impressionante se si fa il confronto con le precedenti previsioni del Fmi, rilasciate ad aprile e luglio. Quindi in momenti in cui erano già all’opera i fattori recessivi collegati alla guerra in Ucraina ed all’eccezionale crescita dei prezzi dei prodotti energetici. Rispetto ad aprile, la crescita del 2023 subisce un taglio di 1,9 punti e rispetto a luglio di 0,9 punti. In altri tempi, una correzione nella previsione di quasi un punto in tre mesi sarebbe stata paragonabile ad un terremoto. Oggi, scivola quasi inosservata.

Se questo è il quadro generale, i dettagli sono ancora più interessanti. Quando si va a vedere cosa determina questo arretramento del PIL nel 2023, scopriamo che la spesa pubblica – che ricordiamo è componente del PIL assieme ai consumi privati – farà la sua parte per zavorrare il Paese con un calo del 0,5%. Siamo sempre ed ancora lì: dopo 20 anni quasi ininterrotti di contributo negativo del bilancio statale alla crescita e tre anni di contributo positivo (2020, 2021 e 2022) ripiombiamo nell’austerità. Confermata anche dall’andamento decrescente del deficit/Pil dal 5,4% del 2022 al 3,9% del 2023. Il deficit/Pil strutturale, figlio di quell’obbrobrio statistico che è l’output gap che la Commissione si ostina ancora a misurare, scenderà dal 5,7% al 3,6%. Al Fmi prevedono che il prossimo governo obbedirà agli obiettivi di contenimento scolpiti nel Patto di Stabilità che è sospeso solo a parole, ma che ci risparmia solo l’onta della procedura d’infrazione.

In questo quadro, un flebile raggio di luce è arrivato martedì dai dati della produzione industriale di agosto in crescita del 2,3% rispetto a luglio e del 2,9% rispetto ad agosto 2021, facendo segnare un aumento ben superiore alle attese. Tuttavia si tratta di un dato che, per la sua volatilità, va osservato su periodi più ampi e la variazione dal trimestre giugno-agosto rispetto al trimestre marzo-maggio è pari a -1,2%. Il robusto dato di agosto ci offre però la speranza che il PIL del terzo trimestre – che sarà reso noto il 31 ottobre – si chiuda con una variazione intorno allo zero e la recessione sia così rimandata di un trimestre. Insomma, l’industria si è già fermata e nel trimestre estivo, dovremmo essere rimasti in piedi grazie ai servizi ed al turismo in particolare.

Ma se la nostra economia e quella di tutta l’eurozona procede verso la recessione, vedendo peggiorare mese dopo mese le prospettive di crescita, il PIL della Russia mostra dati sorprendenti. Si, parliamo del Paese la cui economia avrebbe dovuto essere distrutta dagli otto pacchetti di sanzioni varati dalla UE. Ci hanno raccontato la favola che ci sarebbe stato da soffrire all’inizio, ma poi avremmo piegato l’economia russa impedendogli di finanziare lo sforzo bellico. Il tristemente famoso esempio del “condizionatore spento” che ci avrebbe portato la pace.

Ebbene i numeri ci dicono che le nostre prospettive, come osservato, peggiorano e quelle russe, incredibilmente, migliorano.

Il PIL russo calerà del 3,4% e del 2,3% rispettivamente nel 2022 e 2023, ma l’aspetto clamoroso e che il FMI è stato costretto a correggere in meglio le previsioni per il 2022 di ben 2,6 punti rispetto a luglio ed addirittura 5 punti rispetto ad aprile. Per il 2023, la previsione di luglio è stata migliorata di 1,2 punti. Allora emerge una sconcertante realtà: ad aprile e luglio al Fmi hanno clamorosamente sovrastimato i danni inferti nel breve termine all’economia russa dalle sanzioni, che non sembra cedere nemmeno su un orizzonte temporale più lungo, considerato il non trascendentale -2,3% del 2023. Del resto, i dati delle partire correnti della bilancia dei pagamenti parlano chiaro e mostrano che nel terzo trimestre i russi – nonostante abbiano praticamente ridotto a meno di un quarto le forniture di gas alla UE – hanno conseguito un eccezionale avanzo per 52 miliardi di dollari, contro il record di 77 miliardi nel trimestre precedente. Per avere un’idea del livello eccezionalmente elevato di questi ultimi dati, basti osservare che nel 2021 l’avanzo aveva oscillato intorno ai 20 miliardi per trimestre. Nel 2022 sarà pari a 243 miliardi di dollari, raddoppiando rispetto al 2021.

Una montagna di denaro che, seppure alimentata più lentamente negli ultimi mesi, è la vera arma nelle mani della Russia. Clamorosamente ed irresponsabilmente creata prima e rafforzata dopo, dall’ubriacatura ideologica di una troppo rapida politica di transizione dalle fonti fossili alle rinnovabili. A cui si è aggiunta la suicida esibizione muscolare davanti al proprio principale fornitore di gas e petrolio.

Doppio errore: prima l’azzardo morale – guidato dalla Germania – di legarsi mani e piedi ad un unico fornitore inviso oltreoceano e poi quello di volersene liberare in qualche mese, come se fosse il fornitore di frutta e verdura al mercato rionale.

Ad oggi, il risultato è che noi non sappiamo se e come supereremo i prossimi inverni e la Russia siede su una pila di denaro gentilmente omaggiata dalla UE.

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