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Tunisia

Sommesso elogio di Draghi (che sculaccia le miopie europeistiche)

Gianfranco Polillo commenta le risposte del presidente del Consiglio, Mario Draghi, durante il Questione time alla Camera su Europa e regole contabili europee

Confessiamo ch’era da tempo che non ascoltavamo parole così nette e dirette. Ed è inutile aggiungere che la cosa ci ha fatto un immenso piacere. Finalmente nei confronti dell’Europa si esce da quel diplomatismo che, negli anni passati, ha certificato un ruolo di sudditanza dell’Italia, rispetto a politiche sostanzialmente sbagliate e si afferma, con chiarezza, la strada che si intende seguire. La cosa ha ancora più valore nel momento in cui questo impegno è preso dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, non nel corso di una conferenza stampa, ma nella sede – la Camera dei deputati – che rappresenta il luogo della sovranità popolare.

Nel suo intervento, durante il “Question time”, l’istituto parlamentare che consente al singolo deputato di interloquire direttamente con i rappresentanti del Governo, Draghi rispondeva sulle regole di bilancio, ricordando quanto era avvenuto, ma soprattutto quanto dovrà avvenire, una volta superata la pandemia. Aveva quindi accennato alle vecchie regole messe in naftalina, per consentire ai singoli Paesi di affrontare la crisi, pronte ad essere riattivate solo quando l’economia europea, questo almeno l’impegno della Commissione, fosse tornata ai livelli pre-crisi. Tempo stimato: non prima del 2023.

Un orizzonte, quindi, ancora lontano: date le incertezze che ancora accompagnano il decorso della crisi. In Europa, comunque, il dibattito non è ancora iniziato, anche se qua e là si colgono delle avvisaglie, che in qualche modo allarmano per la loro scarsa lungimiranza. Alla quale Mario Draghi, con un calcolato gioco d’anticipo, ha voluto rispondere con determinazione: “Voglio essere molto chiaro su questo: è fuori discussione che le regole dovranno cambiare”. Quindi ha ribadito: “La mia linea – e non è da oggi, ma da diverso tempo su questo tema – è che le attuali regole di bilancio erano inadeguate e sono ancora più inadeguate per un’economia in uscita da una pandemia. Nei prossimi anni dovremo concentrarci soprattutto su un forte rilancio della crescita economica, che è anche il modo migliore per assicurare la sostenibilità dei conti pubblici”.

Fa impressione la nettezza del giudizio sull’inadeguatezza delle vecchie regole: lo erano in passato, lo sono ancor di più dopo i colpi inferti dalla pandemia. Da qui la necessità di una profonda riforma: “La revisione delle regole – aggiunge il Presidente del consiglio – deve dunque assicurare margini di azione più ampi alla politica di bilancio nella sua funzione di stabilizzazione anticiclica. In particolare, dobbiamo incentivare gli investimenti, soprattutto per favorire la trasformazione digitale ed ecologica. Allo stesso tempo, le nuove regole devono anche puntare a ridurre le crescenti divergenze tra le economie degli Stati membri e a completare l’architettura istituzionale europea”.

C’è quindi una forte continuità con la filosofia della Next generation UE. Altro che una semplice parentesi, non replicabile, secondo il diktat di Marc Rutte, il leader olandese, che mira a diventare il capo dei “frugali”. Di quei Paesi che, in Europa, hanno trovato l’America, ma che non sono minimamente disposti a contribuire ad un comune destino. Da questo punto di vista il richiamo di Draghi è severo, quando dice che è necessario ridurre le “divergenze tra le economie degli Stati membri”. Divergenze che sono progressivamente aumentate dalla crisi del 2008 e che cresceranno ancora, se non contrastate, a seguito della pandemia.

All’inizio del nuovo millennio, il processo di convergenza, ch’era uno dei punti principale del sogno europeo, era andato avanti, seppure in modo insoddisfacente. Ma dopo la crisi determinata dal fallimento della Lehman Brothers, si era rovesciato nel suo contrario. Paesi ch’erano riusciti a reggere meglio allo shock esterno, ed altri che, invece, erano stato costretti a subirne le conseguenze. Interiorizzandone gli effetti: soprattutto in termini di maggiore disoccupazione e maggior malessere sociale. A danno soprattutto delle donne e delle più giovani generazioni.

Già prima del Covid-19 la carta geografica europea era a macchia di leopardo. Con i Paesi del Nord che potevano vantare un tasso di disoccupazione frizionale e quelli mediterranei con un fardello pari al doppio se non al triplo. Tasso di disoccupazione tedesco nel 2019, secondo i dati della stessa Commissione: 3,1; olandese: 3,4. Grecia: 17,3; Spagna 14,1; Italia 10 e Francia 8,5. Con un tasso di disoccupazione di lungo periodo prossimo all’1 per cento, per i primi e dal 3,4 per cento della Francia al 12,2 per la Grecia.

Per non parlare infine dei grandi cambiamenti che la miopia di alcuni dirigenti europei non riesce a cogliere. Il capitalismo illiberale di Paesi come la Cina, la Russia, la Turchia o l’Iran marcia a passi da giganti e sconvolge gli equilibri mondiali. Dallo scorso anno, fino al 2026, il tasso di crescita medio annuo della sola economia cinese, previsto dal Fmi, è pari al 5,2 per cento contro una media dell’Eurozona e degli Usa che supera a stento l’1 per cento. Un nuovo scossone nei grandi equilibri mondiali, che hanno come fondamento il peso specifico, in termini di Pil, di ciascuna realtà. Ed al cui riequilibrio l’UE può contribuire solo accelerando nella costruzione di quell’“area monetaria ottimale”, vagheggiata da tempo. L’architettura istituzionale di cui parla il presidente del Consiglio. Ma che i nuovi “sonnambuli” del terzo millennio non riescono ad intravedere.

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