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Esportazioni Cerali Ucraini

Prezzi cereali? Rischio speculazione, ecco perché. Parola di prof.

Nonostante i prezzi dei cereali siano alle stelle, i numeri mostrano che raccolto, stoccaggio ed esportazione di cereali ucraini non sono andati e non vanno poi così male. Cosa sta succedendo allora? L'analisi dell'economista Alessandro Giraudo

 

Raccolto, stoccaggio ed esportazione di cereali ucraini non sono così disastrosi come vengono descritti, allora perché i prezzi sono alle stelle? C’entra la speculazione?

Sulle pagine del Corriere della Sera – inserto L’Economia – lo ha spiegato l’economista Alessandro Giraudo, professore di Finanza internazionale e Storia economica della finanza presso l’Institut Supérieur de Gestion (ISG) di Parigi, una delle Grandes Ecoles della capitale francese.

QUANTI CEREALI DOVREBBE ESPORTARE L’UCRAINA CON IL RACCOLTO 2021-22

Giraudo parte con un’analisi dei dati sul raccolto 2021-22 dell’Ucraina citando i numeri dell’Usda, il Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti, che sostiene: “Durante la campagna 2021-22 appena terminata l’Ucraina avrebbe dovuto esportare 62,7 milioni di tonnellate di cereali su una produzione record di 84,8, contro una media di una settantina di tonnellate, ripartita fra mais (una trentina di milioni), grano tenero (18-20), orzo (una decina), di altri cereali (ancora una decina)”.

QUANTI CEREALI HA EFFETTIVAMENTE ESPORTATO L’UCRAINA

“Prima dell’invasione, – riferisce il professore – l’Ucraina aveva già esportato quasi 24 milioni di tonnellate di grano e quindi ne restano da esportare ancora 5-6 milioni; la quantità di mais da esportare è stimata a una quindicina di tonnellate”.

L’Ucraina, dunque, ha ridotto il volume delle vendite, ma sta esportando mais e grano: “Solo nella prima quindicina di giugno, più di un milione di tonnellate di cereali, soprattutto mais. I dati indicano che le esportazioni di cereali sono state di 300 mila tonnellate (marzo), un milione (aprile), 800 mila in maggio”.

“Quindi – conclude Giraudo – i rischi di fame nel mondo sono uno spettro più di origine speculativa che di natura fisica”.

LA RUSSIA CONTINUA A ESPORTARE (ANCHE IL GRANO UCRAINO)

A questi fatti, spiega l’economista, si aggiunge anche che la Russia sta continuando a esportare cereali “a ritmi sostenuti in particolare verso la Turchia, l’Iran e l’Egitto”. E “un segno del miglioramento della situazione dei flussi è offerto dalla caduta verticale dei noli: per esempio, il trasporto marittimo fra il Mar Nero e Alessandria è sceso dagli 80 dollari tonnellata del mese di marzo ai 35 di questi giorni! […] Le esportazioni – prosegue Giraudo – sono anche favorite dal fatto che le nuove autorità locali delle regioni conquistate, chiaramente filo-russe, hanno ‘nazionalizzato’ i cereali ucraini stoccati nei silos locali e li esportano”.

LO STOCCAGGIO

Secondo il professore anche la questione dello stoccaggio non è un reale problema perché, se stoccati bene, i cereali possono essere conservati per diversi mesi. Inoltre, come scritto all’inizio, l’Ucraina è riuscita a immagazzinare più di 80 milioni di tonnellate di cereali.

I PREZZI

Che i prezzi dei cereali per gli importatori siano aumentati però è una realtà (da 250-280 dollari/tonnellata a 420-450), ma questo – osserva Giraudo – succedeva già da prima che la Russia invadesse l’Ucraina a causa degli acquisti record della Cina nel 2021.

Inoltre, come scrive Valigia Blu, “la guerra però è solo l’ultimo elemento destabilizzante di una crisi del commercio internazionale innescata dalla pandemia. Da due anni ormai il mondo assiste a un aumento preoccupante dei prezzi alimentari. L’effetto rimbalzo causato da una ripresa della domanda dopo il crollo del Pil globale nel 2020 ha incontrato una siccità che sta colpendo le principali regioni produttrici del mondo, come Canada, India, Brasile, ma anche l’Europa mediterranea”.

LA SPECULAZIONE

Come ricordava Start, a commerciare i cereali – e quindi anche il grano ucraino – sono 4 società: Archer Daniels Midland, Bunge e Cargill e Louis Dreyfus, note anche come ABCD.

Queste aziende, le prime tre statunitensi e la quarta francese, non sono obbligate a rivelare le informazioni che hanno sui mercati globali, comprese le loro scorte di cereali. “E con l’aumento della speculazione finanziaria sulle materie prime – scrive Valigia Blu – hanno un chiaro incentivo a trattenere le scorte fino a quando i prezzi non raggiungono il picco”.

Motivo per cui la speculazione ha gonfiato ancora di più i prezzi. L’articolo cita poi una recente indagine pubblicata da Lighthouse Reports in cui viene rilevato “come l’eccessiva speculazione da parte di società di investimento e fondi finanziari nei mercati delle materie prime stia contribuendo alla volatilità, garantendo profitti stellari a player che con le loro operazioni starebbero riducendo l’accesso al cibo per milioni di persone”.

Si ricordano, infine, le stime della Banca Mondiale, secondo cui “per ogni aumento di un punto percentuale dei prezzi alimentari, 10 milioni di persone nel mondo oltrepassano la soglia della povertà estrema. Per dare una prospettiva della situazione, quando l’indice FAO a marzo ha raggiunto il record storico, segnava un +34% rispetto all’anno prima”.

PREVISIONI PER IL PROSSIMO RACCOLTO

Un’altra preoccupazione riguarda, invece, il futuro del prossimo raccolto. Ora che la stagione delle semine primaverili è finita, il bilancio è che in Russia sono andate bene, mentre in Ucraina – per ovvi motivi – no. E l’Usda, ricorda Giraudo, “stima una perdita della prossima campagna fra il 25% e il 30%”.

I dolori, dunque, si faranno sentire ora quando dovrebbero essere raccolti cereali invernali, come grano e orzo ma, secondo il professore, “per l’istante, non esiste alcuna situazione drammatica di fame mondiale”.

Infatti, citando i dati dell’Usda, “la campagna cerealicola mondiale 2021/22 si conclude con una produzione di 2.286 milioni di tonnellate e uno stock finale di 601 milioni, pari a più di un quarto. Nel caso del grano, le statistiche indicano una produzione di 781 e 276 milioni di tonnellate di stock, pari a più di un terzo”.

Numeri che, sottolinea Giraudo, sono un “buon indicatore di una violenta attività speculativa”.

Finora quindi non c’è motivo di creare il panico ma se la situazione si dovesse protrarre ulteriormente nel tempo allora i Paesi più poveri pagherebbero un prezzo davvero alto. E non solo economico.

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