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Banca Popolare Di Bari

Popolare Bari, tutte le banche del Sud nel mirino di De Bustis

Come procede la creazione della super banca del Sud capitanata dalla Popolare di Bari. Chi sono i tre piccoli istituti campani che verrebbero inglobati nell'operazione, oltre alla Popolare di Puglia e Basilicata. Informazioni e bizzarrie comunicative

La grande banca del Sud starebbe diventando realtà. E il dossier dovrebbe chiudersi in tempi brevi, entro il 2020. A fare da perno centrale la Popolare di Bari che in tal modo si avvantaggerebbe del beneficio fiscale previsto dal decreto Crescita per coprire la perdita dell’esercizio 2018, circa 420 milioni. Il polo che si andrebbe a costituire vedrebbe in prima fila Popolare di Bari insieme a un altro istituto pugliese, Popolare di Puglia e Basilicata, e poi tre piccole banche campane: Banca Regionale di Sviluppo, Banca del Sud e Popolare Vesuviana.

Alcuni osservatori hanno notato un comportamento un po’ anomalo da parte dei vertici della Popolare di Bari che, all’indomani dell’indiscrezione di Mf secondo cui puntava alla Popolare Vesuviana, si è affrettata a smentire con un comunicato ufficiale. Cosa che non è avvenuta invece con l’articolo del Mattino in cui vengono citati ben quattro istituti al suo fianco, tra cui proprio la Popolare Vesuviana oggetto della smentita.

L’OPERAZIONE BANCARIA SECONDO “IL MATTINO”

Come dicevamo, secondo il quotidiano napoletano – che cita fonti finanziarie – starebbe diventando “concreta” l’ipotesi di aggregazione “tra diversi istituto di credito meridionali” che partirebbe da Popolare di Bari e Popolare di Puglia e Basilicata le quali ingloberebbero tre “prede” napoletane ossia Banca Regionale di Sviluppo, Banca del Sud e Popolare Vesuviana. In questo modo si costituirebbe così un gruppo con oltre 400 sportelli, quasi 4.000 dipendenti e oltre 17 miliardi di euro di attività.

Di sicuro, come rileva Il Mattino, tale aggregazione è “complessa e subordinata al via libera di azionariati estremamente frammentati”. L’obiettivo chiaro è quello di accelerare e di chiudere entro il 2020 in modo da beneficiare degli sgravi fiscali previsti dal decreto Crescita. Senza dimenticare la moral suasion della Banca d’Italia che è intervenuta più volte sulla questione; da ultimo il 21 fine settembre scorso con il direttore generale Fabio Panetta che ha ribadito l’invito al consolidamento delle banche meridionali perché “un sistema efficiente è fondamentale per finanziare le imprese del Sud”. Ma vediamo chi sono queste tre “prede” della popolare barese.

BANCA REGIONALE DI SVILUPPO

Nata come Banca Popolare di Sviluppo il 12 luglio 2000 su iniziativa di alcuni imprenditori e professionisti campani, a fine novembre 2015 l’assemblea ha approvato il passaggio a Spa. Tra il 2001 e il 2015 Brs ha aperto sette filiali: due a Napoli, due a Nola, una ciascuna a Caserta, Frattamaggiore e Nocera Inferiore.

Nel primo semestre del 2019 Banca Regionale di Sviluppo ha perso 1,9 milioni a fronte di un rosso di 2,7 milioni al 30 giugno 2018. Il patrimonio netto è pari a 18,58 milioni e il totale dei fondi propri a 24,5 milioni. Il Total capital ratio è al 16,48%.

Lo scorso aprile l’assemblea ha approvato la proposta di aumento di capitale per 20 milioni e il mese precedente è stato eletto il nuovo presidente, il ragioniere Giuseppe Lombardi, ex dirigente del gruppo Ubi Banca e da gennaio 2013 a dicembre 206 direttore generale dell’istituto. A ottobre 2018 è stato varato il nuovo piano industriale che prevede un “incisivo smobilizzo” degli Npl.

Da notare che fra novembre 2018 e marzo 2019 si sono verificate parecchie dimissioni all’interno del board: ben otto consiglieri se ne sono andati.

BANCA DEL SUD

Fondata nel 2006 da un primo nucleo di professionisti e imprenditori napoletani, in poco tempo il comitato promotore ha raggiunto 18 milioni di euro di azioni sottoscritte da 523 soci tra cui Banca Popolare di Puglia e Basilicata, Istituto Fondazione Banco di Napoli e Fondiaria Sai. La prima filiale è stata aperta a Napoli – dove c’è pure la sede legale e la direzione – il 2 luglio 2007, seguita poi dalle filiali di Salerno, Avellino e Caserta.

Presidente è Roberto Angeloni, vicepresidente Marco Pochetti, direttore generale Carlo Casilli.

Nel 2018 il bilancio è stato chiuso in perdita di 995mila euro rispetto agli 816mila del 31 dicembre 2017, il margine d’interesse è di 2,98 milioni, in flessione di 748mila rispetto a un anno prima. Il patrimonio netto è pari a 14,3 milioni.

POPOLARE VESUVIANA

La Popolare Vesuviana vanta solo quattro sportelli, tutti nel territorio campano: uno a Napoli e tre in Provincia, a Nola, a San Giuseppe Vesuviano e a Striano. Costituita nel luglio del 1991 da un gruppo di promotori a firma del notaio Giovanni Cesaro, è operativa da gennaio 1993. La banca propone diversi prodotti, anche finanziari e assicurativi, “in partnership con i più affidabili operatori presenti sul mercato” per “favorire la crescita delle piccole e medie imprese locali”.

Il bilancio dell’esercizio 2018 – approvato dall’assemblea il 4 maggio scorso – presenta un utile netto di 780.495 euro destinato alla revisione legale per 78.050 euro, alla riserva straordinaria per 602.278 euro e ai dividendi per i soci per poco più di 100mila euro. La stessa assemblea ha fissato il prezzo delle azioni della banca in 88,77 euro.

In una nota firmata dal presidente del cda, Giuseppina Nappo, si chiarisce che “la situazione tecnica della banca al 31.12.2018 in termini di raccolta, credito, patrimonio, rischi e redditività ha registrato un’evoluzione positiva rispetto alla stessa situazione risultante alla fine dell’esercizio precedente”.

IL BENEFICIO FISCALE DELLE DTA

Ma ricordiamo in cosa consiste la norma sulle Dta. In sostanza la norma è una versione rinnovata del credito d’imposta per le banche con sede legale in Campania, Puglia, Basilicata, Molise, Calabria, Sicilia e Sardegna grazie al recupero delle imposte differite su perdite (Dta). L’idea che si cela dietro la norma, è chiaro, punta a creare al Sud un polo bancario partendo dai due istituti maggiori e cioè Popolare di Bari e Popolare Puglia e Basilicata. Lo sconto fiscale in caso di aggregazione è fino a 500 milioni per ogni soggetto partecipante. La trasformazione delle attività per imposte anticipate in crediti d’imposta è condizionata all’assunzione – da parte della società che ne risulta – dell’impegno a versare un canone annuo a favore dell’Erario con applicazione di un’aliquota annua dell’1,5% alla differenza tra l’ammontare delle attività per imposte anticipate e le imposte versate. Il pagamento del canone avverrà in quattro esercizi a partire dalla data di approvazione del primo bilancio della società risultante dall’aggregazione.

Per evitare l’elusione del limite dei 500 milioni di Dta, l’incentivo non è concesso se ad una aggregazione partecipino soggetti che abbiano già preso parte a un’altra operazione del genere per cui è già stata prevista la trasformazione delle Dta in crediti d’imposta.

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